Nota di Silvia Leonzi su “Cumparsita”

Le radici della nostalgia: tra storia e memoria.
Ho immediatamente apprezzato il libro come lettrice, per il piacere di lasciarmi trascinare, per lo stile di scrittura fluido e avvolgente, un po’come il tango, in fondo. Ma subito dopo, un po’ per deformazione professionale, un po’ perché il testo me lo consentiva, non ho potuto fare a meno di riflettere su un livello di lettura meno emotivo e più razionale. E quello che vorrei dire qui, in poche parole, senza annoiarvi troppo, riguarda alcuni elementi contenuti in questo lavoro e che me l’hanno fatto apprezzare.Anzitutto, una premessa importante: mi sono resa conto che man mano che leggevo mi trovavo proiettata non soltanto all’interno di una storia, ma di un intero immaginario, creato grazie a una sapiente mescolanza di realtà e fantasia, di slancio ideale e di suggestioni reali, come in un affresco che si può guardare da lontano, in uno sguardo d’insieme, ma la cui forza espressiva si nutre di particolari, di dettagli.

Il libro di Nicola, e questo traspare chiaramente, è il frutto di una passione, ma dall’altra questo sentimento è sostenuto da un lavoro di ricerca e documentazione estremamente accurato. Ed è proprio l’unione del sentimento e del rigore a costituire la forza del testo. Costruire un immaginario significa andare oltre la linearità della narrazione, vuol dire, in sostanza, riuscire a prefigurare un mondo intero, un microcosmo, in cui si avverte lo scorrere della vita attraverso i personaggi, i luoghi, gli oggetti, le parole, le piccole cose, apparentemente insignificanti. Nel libro, sembra quasi di sentire gli odori (l’aroma del sigaro Quintero o quello dell’Asado) i suoni ( il tango) i colori, di un’esistenza descritta nel suo aspetto più seducente, ma anche in quello meno piacevole, ma altrettanto reale, della fatica, della malattia, della morte, Eros e Thanatos, ci restituiscono intere le persone, nel loro condividere le une con le altre lo stato fragile e imperscrutabile di esseri umani, la consapevolezza di un’appartenenza universale che oggi forse abbiamo perso.

Oltre alla capacità di evocare un intero immaginario, che del resto è ciò che a mio avviso ci fa capire che ci troviamo di fronte a un buon libro, proverò a dirvi quali sono le altre dimensioni che rendono il libro di Nicola interessante, non soltanto dal punto di vista dello stile e della capacità espressiva. Come si evince dal titolo dell’intervento, il primo degli elementi di interesse riguarda la capacità di comunicare il senso della dialettica di Storia e memoria. La relazione tra una Storia con la “S” maiuscola, che appare sullo sfondo, e le infinite piccole storie di uomini e donne che con il loro lavoro, le loro passioni, i loro progetti, hanno, passo dopo passo, a quella storia hanno dato gambe e braccia, cuore e testa. Tra le righe emerge con grande chiarezza la volontà di dare voce a quella che i teorici de Les Annales (Duby, Le Gotff, Ariès) chiamano “storia dal basso”. Una storia lenta, in cui gli eventi, le date, i personaggi, le battaglie lasciano il posto agli oggetti, alle abitudini, , alle mentalità, ai sogni, ai desideri, alla geometria delle passioni.

Il secondo elemento che mi ha colpito ha a che fare con il termine tedesco Heimat. (la Saga di Edgar Reitz, storia tedesca dal 1919 al 2000); Heimat è una parola tanto affascinante quanto intraducibile in italiano: in prima istanza, significa «luogo natale e di residenza, paese d’origine e casa patema», dunque la casa, le radici, gli affetti, le appartenenze, ma, esiste anche una seconda Heimat, che ha a che fare con i luoghi dove, una volta adulti, scegliamo di mettere le radici, di costruire il nostro mondo, con le persone con cui decidiamo di percorrere qualche tratto della nostra strada. Nel libro di Nicola L’Italia e l’Argentina rappresentano queste due patrie, degli affetti e dei progetti, dei sogni e della loro realizzazione. Nelle vite dei protagonisti, questi due mondi sono inestricabilmente legati, grazie a una dialettica di vecchio e nuovo che prende corpo nel legame tra il giovane Raul e il sui anziano mentore Domenico. Gli italiani d’Argentina non sono né italiani né argentini, come nella figura dello straniero, abilmente descritta dal sociologo Simmel, essendo a metà tra un universo e l’altro, si muovono tra tradizione e innovazione, mescolando diverse culture ne creano di nuove, ibride, multiformi, più ricche, così come il profumo dell’Asado si fonde con quello dei Ferricelli.

In conclusione, grazie a questi elementi, e a molto altro, ma non voglio rubare altro tempo, si può dire che questo libro possiede una valenza “civile”, tipica di una parte della letteratura contemporanea, che non si accontenta di raccontare storie, ma è attenta al passato, al presente e al futuro e, in barba alla frammentazione e all’estremo relativismo di molte opere postmoderne, accetta il rischio di proporre un punto di vista (non a caso, il protagonista parla in prima.L’aggettivo civile ha che fare con la volontà, che emerge piuttosto chiaramente, di non chiudersi nel registro rassicurante della nostalgia, nel non usare la chiave della memoria come semplice rievocazione del passato ma piuttosto nell’attingere alle radici per proiettarsi verso il futuro, la memoria dunque non come monumento fossilizzato nel tempo ma come forza dinamica e propulsiva. Del resto, solo chi è capace di ricostruire mondi passati, è in grado di immaginare mondi futuri, e, in questo senso, appaiono come un viatico per il lettore che paradossalmente è arrivato alla fine del viaggio, le parole di Raul, che appunto indicano che ogni fine può rappresentare un inizio, se si “ha il coraggio di parlare, se si vuole guardare la luce del sole” e sappiamo bene quanto nel nostro paese, da sempre, e oggi più che mai, abbia bisogno di questo.

Prof.ssa Silvia Leonzi – Sintesi dell’intervento su “Cumparsita”, Roma Luglio 2010

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