Nota di Donato Pepe su “Cumparsita”

Cumparsita, voglio dirlo subito, è un bel libro. E’ un romanzo storico leggero, lo leggi tutto d’un fiato, e nello stesso tempo denso, pregnante di umanità, attraversato da venature etnico sociali. Potrei dire di questo libro tanto altro ancora, ma prima di tutto sento di dire è un bel libro, vi invito a leggerlo. Il linguaggio è pulito, fluido, scorre come acqua limpida, fresca, ti bagna ed avvolge l’anima in un clima dove avverti il profumo dell’intimità familiare. Anche se il protagonista Mimmo Labriola non ha famiglia, alcune figure femminili come Teresa, Graciela sono disegnate dall’autore con tratti molto tenui sotto il profilo personologico hanno invece spiccati i tratti della femminilità, ma Mimmo Labriola a nessuna di esse riconosce il ruolo di compagna, o di moglie. Nonostante ciò nella vita di Mimmo c’è anche un giovane di cui egli si prende cura è il figlio del suo migliore amico che il padre però inspiegabilmente abbandona a vent’anni e Mimmo se ne prende cura, lo accompagna alle nozze e nel brillante corso di studi fino alla laurea.

Lo sfondo storico è tratteggiato con tratti sfumati, leggeri ma puntuali, altrettanto sfumate appaiono le coordinate geografiche, la scenografia è dipinta con i colori tenui di una memoria nostalgica. il tessuto del racconto scorre sul dipanarsi della trama di una vita che non ha avuto l’opportunità di scelte importanti finalizzate alla realizzazione di un sogno. Mimmo Labriola non ha potuto mettere a monte delle sue più importanti scelte di vita una rigorosa formazione, un orientamento professionale, non ha potuto stendere un progetto di vita. Ha vissuto di grandi attese. Era appena bambino quando sale sul sul cassone del camion dello zio che lo porterà da Acerenza fino a Genova e il suo più grande desiderio era di vedere il mare. Sulla nave, che da Genova lo porta in Argentina, contravvenendo alle norme, sgattaiolando furtivo negli stretti corridoi della stiva sale fino in coperta spinto dalla curiosità e riesce a vedere il sorriso di un grande signore tra tanta gente bene nelle grandi sale della prima classe. Poi avrà modo di sapere che si trattava di Pirandello. Questo sembra essere il rapporto fra il povero figlio di contadini lucani e gli ambienti dorati della cultura. Eppure Mimmo riuscirà a farsi strada. Non sentirà la fatica dell’ascesa perché camminerà con il ritmo del tango lasciando che la sua vita si impregnasse delle meta emozioni offerte dalla musica e dalla danza.

Non è il caso di svelare la trama semmai consentitemi di fare qualche rapidissima citazione. Perché gli emigranti lasciano il loro paese, ascoltate siamo nella scuola di Acerenza. La maestra ogni volta che partiva qualcuno si commuoveva. Quando ci stringeva forte per salutarci, lo faceva con un po’ d’invidia perché, se avesse potuto, sarebbe andata lei al posto nostro. Nei suoi occhi traspariva tutto il desiderio di andarsene.

E ancora: Mio Padre era pieno di rabbia perché lasciava la casa in cui era nato. Tutti e due (i genitori di Mimmo) erano convinti che quel viaggio si dovesse fare. Come vedete l’autore non argomenta, ma dipinge con le emozioni i suoi quadri di una umanità sofferente. Una delle figure più belle del libro è Irene fresca ragazza, studentessa universitaria, che rimprovera a Mimmo il campanilismo degli immigrati italiani. Poi il dramma della soppressione della dignità civile del popolo argentino e Irene sarà sacrificata. La signora Giulia, trattenuta con forza da due uomini si dimenava straziandosi di dolore nel vedere sua figlia così conciata. Cercava con lo sguardo Irene, ma lei fissava il vuoto. La vita civile in Argentina si ferma. Nemmeno il tango si ballava più. Consentitemi di ringraziare Nicola Viceconti per questo dono. Un libro è un atto di amore. E l’amore si fa in due. Tra chi scrive e chi legge nasce talvolta un’amore fecondo. Questo libro ha suscitato in me emozioni, riflessioni, consapevolezze nuove. Grazie Nicola, lo dico come Acheruntino, come lucano e più semplicemente come uomo. Grazie!

Donato Pepe

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