Nota di Osvaldo La Valle su “Nora López – detenuta N84”

Italiano 

La voce prepotente e ossessiva dei militari, che hanno governato dal 1976 al 1983 in Argentina, si è fatta sentire in ogni angolo del paese: dalla chiassosa Buenos Aires, alla silenziosa Patagonia; dalla terra del Malbec alle regioni povere dell’interior; da Mar del Plata alle montagne rosse di Misiones. Nei circa 350 Centri Clandestini di detenzione, le tre forze armate (Esercito, Aeronautica e Marina) hanno seminato il terrore, colpendo persone di ogni età e ceto sociale. Per sette anni quella voce prepotente e ossessiva ha soffocato le urla strazianti di migliaia di persone sistematicamente torturate, prima di essere confinate nel nulla. Oggi, i responsabili di tanti lutti e di infinita disperazione, parlano con la voce rauca, per via dell’età, ma il tono e il significato delle loro parole è sempre lo stesso, ugualmente arrogante, trasudante la macabra ideologia di sempre, espressione di un pensiero squilibrato e irrispettoso dei diritti umani fondamentali. E’ sufficiente ascoltare le loro parole, in sede di giudizio dei processi, ai quali finalmente vengono sottoposti, o leggere le loro deliranti dichiarazioni, come quella rilasciata recentemente in un’intervista dal genocida Videla, nella quale egli ha asserito di “essere vittima di una vendetta”. Interessante, a tale proposito, è stata la reazione delle associazioni impegnate nella lotta per l’affermazione dei diritti umani, in particolare quella dei rappresentanti degli HIJOS che, in risposta al dittatore, hanno dichiarato testualmente “la nostra unica vendetta è essere felice” o quella delle Abuelas de Plaza de Mayo che, nella persona della Presidente Estela Carlotto, hanno ribadito che “se gli artefici della dittatura sono stati capaci di fare quello che hanno fatto, è chiaro che continuino a difendere la loro posizione”. La voce dei torturatori, pertanto, oltre a creare indignazione, offre uno strumento di conoscenza in più nel percorso di recupero della memoria che l’Argentina sta attraversando con coscienza e maturità. Essa è utile come ennesima prova delle nefandezze e atrocità commesse, soprattutto per coloro che non hanno vissuto quel triste periodo.

Il romanzo, “Nora Lopez, detenuta N84” di Nicola Viceconti, si inserisce in questo contesto. Leggendolo, ho trovato originale la scelta di mettere in risalto, per buona parte della narrazione, la voce di chi rappresentava il male. E, anche se è stato particolarmente doloroso e impegnativo trovarmi di fronte alla voce di un repressore, reputo opportuno mostrare al lettore, in forma diretta e autentica, il pensiero “tipico” di un responsabile di quei crimini efferati. Ho trovato molto interessante il confronto tra il boia e la giovane Livia, figlia di Nora Lopez, una delle vittime del regime. Ad interrompere la tranquilla vita del pacifico signor Pontini, arriva inattesa una presenza che innesca il terrore in lui di trovarsi braccato e, nonostante la speranza di sfuggire all’incubo di vedersi scoperto, ecco che arriva inesorabile per lui la punizione: gli HIJOS, insieme alla polizia, celebrano l’arresto del torturatore, durante la festa organizzata per il matrimonio del figlio, il tutto in presenza di un altro complice silente della dittatura, un monsignore, in rappresentanza della chiesa. Questa scena segna la fine di Luis Pontini e dà l’avvio alla sua giusta condanna. Un accenno, infine, lo rivolgo alla giovane eroina Livia Tancredi, personaggio chiave del romanzo, di cui il lettore può cogliere tutte le emozioni di angoscia, rabbia e dolore vissute nel suo viaggio all’inferno. Il motore di tutto questo è stato l’amore per sua madre, alla quale ha restituito la dignità affrontando con coraggio uno dei suoi torturatori. Uno sforzo che alla fine ha generato per entrambe un grande senso di liberazione. Nel concludere questa mia breve riflessione, ribadisco l’importanza della voce come elemento identificativo per eccellenza. Lo dico con cognizione di causa poiché è proprio grazie alla voce che ho potuto riconoscere il “Turco Julian”, uno dei miei torturatori nel Club Atletico. Osvaldo La Valle, ex detenuto del Club Atlético. Al tempo del sequestro era un militante del Partito Socialista dei lavoratori (PST). La notte del 15 luglio 1977, una quindicina di militari entrarono nella sua casa, lo incappucciarono e lo trasportarono in un Centro Clandestino di detenzione che, solo in seguito, Osvaldo scoprì essere il Club Atletico. Al momento dell’ingresso al Centro, i militari sostituirono il suo nome con la sigla K58 e, come tutti i detenuti, subì torture e umiliazioni, fino a quando, il 5 ottobre del 1977, venne rimesso in libertà. Durante il periodo di detenzione Osvaldo La Valle apprese i soprannomi dei militari che operavano nel Club Atletico. Tra questi c’era il famigerato “Turco Julian”, che riconobbe per caso molti anni dopo, ascoltando la sua voce in televisione.

Osvaldo La Valle

 

Castellano 

La voz prepotente y obsesiva de los militares, que han gobernado desde el 1976 al 1983 en Argentina, se ha hecho escuchar en todos los rincones del país: desde la bulliciosa Buenos Aires, a la silenciosa Patagonia; desde la tierra del Malbec a las regiones pobres del interior; desde Mar del Plata a las montañas rojas de Misiones. En los aproximadamente 350 Centros Clandestinos de detención, las tres fuerzas armadas (Ejército, Aeronáutica y Marina) sembraron el terror, castigando a personas de toda edad y clase social. Por siete años aquella voz prepotente y obsesiva ha sofocado los gritos desgarradores de miles de personas sistemáticamente torturadas, antes de ser confinadas a la nada. Hoy, los responsables de tantos lutos y de infinita desesperación, hablan con la voz ronca, por la edad, pero el tono y el significado de sus palabras es siempre el mismo, igualmente arrogante, donde se filtra la macabra ideología de siempre, expresión de un pensamiento desequilibrado e irrespetuoso de los derechos humanos fundamentales. Es suficiente escuchar sus palabras, en los juicios de los procesos, a los cuales finalmente son sometidos, o leer sus delirantes declaraciones, como aquella que hizo recientemente en una entrevista el genocida Videla, en la cual afirmó “ser víctima de una venganza”. Interesante, a tal propósito, ha sido la reacción de las asociaciones comprometidas en la lucha por la afirmación de los derechos humanos, en particular aquella de los representantes de HIJOS que, en respuesta al dictador, han declarado textualmente “nuestra única venganza es ser felices” o aquella de las Abuelas de Plaza de  Mayo que, a través de su Presidenta Estela Carlotto, han ratificado que “si los artífices de la dictadura han sido capaces de hacer lo que hicieron, está claro que continúan defendiendo su posición”.

La voz de los torturadores, por lo tanto, además de crear indignación, ofrece otro instrumento más de conocimiento en el recorrido de recuperación de la memoria que la Argentina está atravesando con conciencia y madurez. La misma es útil como la enésima prueba de las infamias y las atrocidades cometidas, sobre todo para aquellos que no han vivido aquel triste período. La novela,“NoraLópez, detenidaN84” de Nicola Viceconti,se ubicaen estecontexto.Leyéndola,encontré original la elección de resaltar este aspecto, en gran parte de la narración, la voz de quien representaba el mal. Y, aunque fue particular mente doloroso y nada fácile ncontrarme delante de la voz de un represor, considero oportuno mostrar al lector, en forma directa y auténtica, el pensamiento“típico”de un responsable de a quellos crímenes feroces. Encontré muy interesante la confrontación entre el verdugo y la joven Livia, hija de Nora López, una de las víctimas del régimen. Para interrumpir la tranquila vida del pacífico señor Pontini, llega inesperada una presencia que provoca el terror en él, por encontrarse acorralado y, a pesar de la esperanza de poder escapar de la pesadilla de verse descubierto, es aquí que llega el castigo inexorable para él: los HIJOS, junto a la policía, celebran el arresto del torturador, durante la fiesta organizada por el matrimonio del hijo, todo esto en presencia de otro cómplice silencioso de la dictadura, un monseñor, en representación de la iglesia. Esta escena marca el final de Luis Pontini y marca el inicio de su justa condena. Una alusión, por último, a la joven heroína Livia Tancredi, personaje clave de la novela, de quien el lector puede tomar todas las emociones de angustia, rabia y dolor vividas en su viaje al infierno. El motor de  todo esto ha sido el amor por su madre, a la cual le devolvió la dignidad enfrentando con coraje a uno de sus torturadores. Un esfuerzo que al final  ha generado para ambas un gran sentimiento de liberación. Para concluir esta breve reflexión que hice, ratifico la importancia de la voz como elemento de identificación por excelencia. Lo digo con conocimiento de causa dado que es justamente gracias a la voz que he podido reconocer al “Turco Julián”, uno de mis torturadores en el Club Atlético.

Osvaldo La Valle

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