Ratlines: l’ombra delle Americhe – Intervista su “IlSudEst”

di MADDALENA CELANO – IlSudEst del 12 aprile 2014

Nell’immediato dopoguerra alcuni funzionari della Chiesa cattolica hanno attivamente aiutato i nazisti in fuga dall’Europa.Tra fiction e realtà nel tuo ultimo romanzo è possibile trovare qualche riferimento sulla cosiddetta Rat-Line. Ci puoi spiegare in cosa consisteva e come funzionava la più grande rete clandestina di fuga dei nazisti?

Come ho già avuto modo di esporre in una precedente intervista dedicata all’argomento, esistono in letteratura diversi testi e documenti che confermano il ruolo attivo di alcuni membri del Vaticano nell’organizzazione segreta salva-nazisti. Partendo dal romanzo di Frederick Forsyth, “Dossier Odessa”, infatti, nel quale l’autore racconta di un gruppo di membri delle SS che, in previsione della sconfitta si erano raccolti in un’organizzazione segreta, è possibile incontrare innumerevoli riferimenti all’operazione denominata O.D.E.SS.A., acronimo di Organisation der Ehemaligen SS-Angehorigen “Organizzazione degli ex-membri delle SS”. Quasi tutti i libri e i documenti in questione mettono in correlazione l’operazione della fuga con il ruolo svolto della Chiesa.
Ad esempio, il giornalista argentino Uki Goñi nel suo famoso libro “Operazione Odessa – La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Peron”, sostiene il diretto coinvolgimento del cardinale Giuseppe Siri (vescovo ausiliare di Genova l’11 marzo 1944, e arcivescovo della stessa città il 14 maggio 1946) alla citata rete. Il cardinale – secondo Goñi – agiva tramite due associazioni fondate dalla Curia genovese per l’assistenza dei profughi. La prima si chiamava Auxilium ed era nata nel ’31, come ente di assistenza e beneficenza, la seconda, fondata nel ’46 era conosciuta come “Comitato Nazionale Emigrazione in Argentina”.
I particolari di questi fatti storici sono contenuti anche nel libro “La via dei demoni”, del giornalista italiano Giovanni Maria Pace. Il diretto coinvolgimento di monsignor Siri trova altresì conferma nelle risultanze della “Comisión para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina”, costituita dal presidente argentino Menem nel 1997, nonché in una nota del servizio segreto militare statunitense, dove si afferma che Siri dirigeva “una organizzazione internazionale il cui scopo era favorire l’emigrazione di europei anticomunisti in Sudamerica [.]. Questa classificazione di anticomunista deve estendersi a tutte le persone politicamente impegnati contro i comunisti, ovvero fascisti, ustascia, e altri gruppi simili”.
Al di là dei nominativi e del numero dei preti coinvolti, è noto che nel 1944 un gruppo di sacerdoti, che operava segretamente all’interno del Vaticano, contribuì all’istituzione di una rete clandestina per far fuggire i nazisti d’ Europa. Nel nome dell’anticomunismo e con l’appoggio dei servizi segreti occidentali, pochi, ma importanti funzionari ecclesiastici furono in grado di assicurare l’impunità ad alcuni criminali di guerra, alcuni dei quali furono reclutati come agenti segreti degli intelligence services inglesi, canadesi, italiani, tedeschi e americani.
Per capire quali furono i primi indizi relativi all’esistenza delle “Ratlines” vaticane è interessante la lettura del testo “Il libro segreto dei Papi” di Tim C. Leedom e Maryjane Churchville. Nell’inchiesta, che come hanno definito gli autori del testo è stata realizzata per indagare “sui lati più oscuri della Chiesa”, emerge che proprio gli americani sono stati coloro che hanno attribuito il nome di “Rat-lines alle reti clandestine istituite dalla Santa Sede. In origine (durante la seconda guerra mondiale) tali organizzazioni avevano lo scopo di aiutare i componenti degli equipaggi degli aerei americani abbattuti a fuggire dall’ Europa occupata. Ratline, pertanto, non si riferiva al criminale nazista in fuga attraverso le vie clandestine del Vaticano. Letteralmente – ricordano gli autori – una ratline è “la scala di corda che arriva in cime all’ albero della nave e rappresenta l’ultimo luogo sicuro quando l’imbarcazione affonda”.
Successivamente Ratline è diventato il termine generico con cui i servizi segreti identificano le reti o le organizzazioni istituite allo scopo di far fuggire qualcuno. Tuttavia, mentre i veterani dell’ Ufficio Servizi Segreti U.S.A. amavano vantarsi delle loro Ratlines, quelle del Vaticano avrebbero dovuto, nelle intenzioni, rimanere per sempre segrete. Le destinazioni principali di tali vie di fuga sono state soprattutto i paradisi in Sud America, in particolare Argentina, Paraguay, Brasile, Uruguay, Cile e Bolivia. Esistevano due percorsi principali: il primo dalla Germania alla Spagna, per arrivare in Argentina; il secondo dalla Germania a Roma, poi a Genova per imbarcarsi con le navi degli emigranti alla volta del Sud America.
Il libro di Leedom/Churchville dedica ampio spazio all’attività di alcuni rappresentanti della Chiesa coinvolti nell’operazione. Già nel 1942 monsignor Luigi Maglione, – secondo quanto riportato nel testo- contattato l’ambasciatore Llobet, decise che è “volontà del governo argentino applicare una sua generosa legge sull’immigrazione, al fine di favorire al momento opportuno immigrati cattolici europei a cercare i terreni necessari e il capitale nel nostro Paese”. In seguito, un prete tedesco, Anton Weber, il capo della base di Roma, Società di San Raffaele, si recò in Argentina con l’obiettivo di gettare le basi per la futura immigrazione cattolica; il disegno prevedeva un preciso percorso sfruttato successivamente dagli esuli fascisti. La Spagna, dunque, e non Roma, rappresenta il “primo centro di attività ratline che ha facilitato la fuga dei nazi-fascisti”. Charles Lescat, un membro francese di Action Française (un’organizzazione soppressa da Pio XI e riabilitata da Pio XII ), e Pierre Daye, un belga, con contatti nel governo spagnolo, sono stati tra gli organizzatori primari. Lescat e Daye sono stati i primi in grado di fuggire in Europa, con l’aiuto del cardinale argentino Antonio Caggiano. Nel 1946, c’erano probabilmente centinaia di criminali di guerra in Spagna, e migliaia di ex nazisti e fascisti. Secondo il Segretario di Stato americano James F. Byrnes, Pio XII “ha preferito vedere i criminali di guerra fascisti a bordo delle navi verso il Nuovo Mondo, piuttosto che vederli marcire nei campi di prigionia in Germania”.

L’organizzazione della Rat-Line poggiava principalmente su grossi quantitativi di denaro e su incentivi finanziari in Argentina. I capi nazisti saccheggiarono intere comunità ebraiche e utilizzarono quel denaro per garantirsi un progetto di vita al di là dell’oceano. Ante Pavelic e la sua cricca di stretti collaboratori erano in possesso di numerosi forzieri pieni di oro, gioielli e opere d’arte che avevano rubato dalle loro vittime ebree e serbe: questo ha facilitato considerevolmente il loro passaggio in Argentina. L’ambiente descritto nel tuo romanzo è particolarmente lussureggiante o sofisticato: un’ allusione alla ricchezza artificiosa che accompagnava un’esistenza di fuga e menzogna?
Nel romanzo “Emèt – il dovere della verità” non prevale un’atmosfera lussureggiante o sofisticata. Credo che la caratteristica principale dell’ambientazione descritta sia quella dell’eleganza e della raffinatezza che appartiene esclusivamente, per tutta la durata del racconto, alla protagonista Helene Sanz. Helene è una diva del teatro e l’eleganza la porta costantemente addosso, come un foulard sul capo. Diversa è la ricchezza artificiosa dei nazisti, quella scaturita dal furto sistematico agli ebrei e macchiata dei peggiori crimini nei confronti dell’umanità. Perfino il personaggio che poi si rileva essere il nazista in fuga, nel mio racconto, non naviga nell’oro. Lui vive nell’ombra della diva fino a quando non si espone rischiando di farsi scoprire. L’unica cosa che luccica nel romanzo è la luce della verità che da dimensione privata, intima, acquista una valenza sociale e pubblica.
Rispetto all’aiuto economico fornito dalla Chiesa ai nazisti in fuga è utile ricordare quanto rilevato da Mark Aarons e John Loftus nel loro libro “Unholy Trinity”. Il primo sacerdote cattolico a dedicarsi alla creazione di vie di fuga fu Alois Hudal (rettore del Pontificio Istituto Teutonico di Santa Maria dell’Anima a Roma e “direttore spirituale del popolo tedesco residente in Italia”). Aarons e Loftus sostengono che oltre al denaro Hudal si adoperava per procurare documenti falsi per l’espatrio. Dopo la fine della guerra Hudal era diventato attivo nel Ministero di lingua tedesca per i prigionieri di guerra e internati poi detenuti nei campi di tutta Italia. Nel dicembre del 1944 viene nominato dalla Segreteria di Stato del Vaticano “rappresentante a visitare gli internati civili in lingua tedesca in Italia”.
Tale posizione permette al vescovo di aiutare alcuni criminali di guerra, tra questi Franz Stangl, comandante di Treblinka, Gustav Wagner, comandante di Sobibor, Alois Brunner, responsabile del campo di internamento di Drancy (Parigi) e Adolf Eichmann. Nelle sue memorie Hudal ha dichiarato: “Ringrazio Dio per avermi permesso di visitare e confortare molte vittime nelle loro prigioni e campi di concentramento e di aiutarli a fuggire con documenti d’identità falsi”. Secondo Aarons e Loftus, il funzionamento dell’organizzazione di Hudal era in piccola scala rispetto a quello che è venuto dopo. La principale rat-line romana era gestito da una piccola, ma influente rete di sacerdoti croati, membri dell’ordine francescano, guidati da Padre Krunoslav Draganović. Draganović ha organizzato una catena altamente sofisticata, con sede presso il San Girolamo degli Illirici Seminary College a Roma, ma con collegamenti da Austria e punto di imbarco finale nel porto di Genova.

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