Nota di Lisa Palmieri Billig su “Emèt – Il dovere della verità”

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Mentre le vecchie generazioni spariscono e ne nascono di nuove, mentre la tragedia della disumanità dell’uomo verso l’uomo si ripete nuovamente sotto varie forme di violenza, di guerra, di tortura e di genocidio, mentre i testimoni diretti vanno scomparendo, la società civile cerca sollievo dal disagio e dal tormento del ricordo dei peccati del passato. Parliamoci chiaro: non sopportiamo che ci venga ricordato che noi, o i nostri antenati, conformandosi alla maggioranza silenziosa, siano rimasti indifferenti o abbiano scelto di ignorare, o persino scelto di partecipare ad atti di persecuzione e a omicidi. Persino la commemorazione annuale della Shoah, la Giornata della Memoria in ricordo del peggior genocidio del 20° secolo, viene tragicamente sempre più spesso vissuta con un certo senso di fastidio. Ricordare e rievocare le sofferenze umane rinnova il dolore, e noi tendiamo a rifuggire dal dolore. A volte siamo come i girasoli, che in cerca di luce e calore, ci voltiamo e ci chiudiamo per evitare che il buio inghiottisca il nostro essere.Suscitare sensi di colpa senza canalizzarli in azioni costruttive può avere effetti negativi.

Uno di questi è la tendenza Machiavellica di riscrivere la storia, nota anche come “revisionismo storico” – che purtroppo è sempre più comune nei nostri tempi.Nel profetico romanzo di George Orwell, 1984 (scritto nel 1949), riscrivere la storia era il compito del Ministero della Verità, il cui scopo veniva cinicamente descritto così: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. Oppure, come scrisse il filosofo, romanziere e poeta ispano-americano George Santayana  in Reason in Common Sense, pubblicato nel 1905: “Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo.” Oggi ci troviamo di fronte alla sfida umanistica dell’insegnare la storia in modi che servano non solo ad arricchire la conoscenza, ma anche a suscitare empatia e a creare baluardi contro gli atti di crudeltà in tutte le sue forme. Le espressioni artistiche, e in particolare l’arte della narrazione, sono probabilmente tra i mezzi più efficaci in questo senso, perché raggiungono allo stesso tempo gli strati più profondi della sensibilità mentale ed emotiva. La narrativa, nelle sue forme scritte e audiovisive, è spesso uno strumento educativo più efficace di una semplice recitazione dei fatti. E lo diventa ancor di più quando la storia che viene raccontata riflette le vere storie di un’epoca.
Il romanzo di Nicola Viceconti, Emèt (parola ebraica che significa “verità”), sottotitolato Il dovere della verità, è un esempio riuscito di questo processo. Attraverso un thriller rapido e mozzafiato che è anche un pezzo di narrativa ben scritto, l’autore ci conduce nel mondo dimenticato dell’Argentina dopo la seconda guerra mondiale, quando l’America Latina serviva come rifugio non solo per le vittime ma anche per i carnefici, per i sopravvissuti dei campi di concentramento ma anche per i criminali di guerra nazisti che cercavano di mascherare il proprio passato comprando l’anonimato nei passaporti falsi. I fatti storici riguardanti le organizzazioni e gli individui che aiutarono impunemente gli ex comandanti delle SS ad integrarsi, incontrastati, nella società argentina, emergono in un primo momento quasi come note a piè di pagina. Si portano a poco a poco in primo piano nella storia avvincente dell’incontro portentoso tra Helene, famosa attrice ottantenne, e Alicia, la giovane giornalista che viene a intervistarla e finisce per trascorrere la nottata sul divano del soggiorno, ascoltando il suo racconto. Quella notte, Alicia comincia a mettere insieme i pezzi della vita di Hélène, modellandoli in una nuova, completa e sconvolgente verità. Le due donne scoprono che, in modi diversi, lo stesso passato ha condizionato entrambe le loro esistenze.
Il lettore viene trascinato nel misterioso racconto di una scomparsa, in una serie di picchi inaspettati che si rinnovano astutamente, accrescendo la suspense. Il significato del sottotitolo del libro Il dovere della verità, permea la storia in modo quasi subliminale. Le ferite indelebili inflitte al popolo ebraico dal regime nazista, e l’indomani argentino della Seconda Guerra Mondiale e come questo abbia influenzato la vita di entrambe le donne, si rivela nello sviluppo del racconto. Allo stesso tempo, sentiamo il bisogno urgente di Helene di dissipare la nebbia dell’oblio e delle bugie che circondano il passato della sua persona e del suo paese. Nicola Viceconti non è nuovo a questo tema. E’ autore infatti di altri tre romanzi ambientati nel contesto argentino, che trattano temi legati al dovere della verità, e in particolare quello dei desaparecidos, le migliaia di giovani scomparsi in Argentina nel periodo della dittature tra il 1976 e il 1983, torturati in centri segreti di detenzione e poi assassinati. In tutte le sue opere, Viceconti mantiene i suoi lettori incollati alla pagina. Eccelle nell’abilità della narrazione, riuscendo a trasmettere il contesto storico quale parte integrante del racconto, aumentando in questo modo l’interesse per quel periodo e stimolando ulteriori domande. Emèt immerge il lettore all’interno di un’epoca cruciale, aprendo una finestra su delle verità che troppo spesso vanno ad annidarsi in qualche zona remota del subconscio collettivo. Il romanzo riesce a farci riflettere sulla memoria di questo passato. Mentre i personaggi sono esplicitamente frutto di fantasia, i fatti che vengono riferiti sono reali e possono essere verificati nei libri di testo e negli archivi della Seconda Guerra Mondiale.

Lisa Palmieri Billig


Lisa Palmieri-Billig è nata a Vienna da genitori ebrei. Nel 1938, dopo l’Anschluss nazista dell’Austria, emigra con la famiglia negli Stati Uniti dove vive fino all’inizio degli anni sessanta, periodo in cui decide di trasferirsi in Italia per dedicarsi all’insegnamento (lingua e letteratura inglese). Corrispondente storica del Jerusalem Post a Roma è vaticanista per il Vatican Insider-La Stampa e rappresentante in Italia e presso la Santa Sede dell’ American Jewish Committee (AJC). Per 25 anni ha ricoperto la carica di vice presidente della sezione europea di Religions for Peace.

Castellano 

Mientras las viejas generaciones desaparecen y nacen otras nuevas, mientras la tragedia de la inhumanidad del hombre hacia el hombre se repite nuevamente bajo distintas formas de violencias, de guerra, de tortura y de genocidio, mientras los testimonios directos van desapareciendo, la sociedad civil busca alivio al malestar y al tormento del recuerdo de los pecados del pasado. Seamos claros: no soportamos que nos recuerden que nosotros, o nuestros antepasados, uniéndose a la mayoría silenciosa, se mostraran indiferentes o que hayan elegido ignorar o incluso que hayan tomado la decisión de participar a actos de persecución y homicidio. Inclusive la conmemoración anual de la Shoah, el Día de la Memoria que recuerda el peor genocidio del siglo 20, trágicamente se vive cada vez más con un cierto sentido de molestia. Recordar y conmemorar los sufrimientos humanos reconstruye el dolor, y nosotros tendemos a huir de él. A veces somos como los girasoles, que en busca de luz y calor, damos la vuelta y nos cerramos para evitar que la oscuridad se trague nuestro ser.

Despertar sentimientos de culpa sin canalizarlos en acciones constructivas puede tener efectos negativos. Uno de estos es la tendencia Maquiavélica de reescribir la historia, conocida también como “revisionismo histórico” – que lamentablemente es muy común en nuestros tiempos. En la profética novela de George Orwell, 1984 (escrita en el 1949), reescribir la historia era una tarea del Ministerio de la Verdad, cuyo objetivo estaba cínicamente descrito así: “Quien controla el pasado, controla el futuro”. O, como escribió el filósofo, novelista y poeta hispanoamericano George Santayana en Reason in Common Sense, publicado en el 1905: “Los que no se acuerdan del pasado, están condenados a vivirlo de nuevo.” Hoy día estamos frente a un reto humanista de enseñar la historia en maneras que sirvan no sólo para incrementar el conocimiento, sino también para despertar la empatía y crear baluartes contra los actos de crueldad en todas sus formas. Las expresiones artísticas, y en particular el arte de la narración, probablemente son entre los medios más eficaces en este sentido, porque alcanzan al mismo tiempo los estratos más profundos de la sensibilidad mental y emotiva. La narrativa, en sus formas escritas y audiovisuales representa a menudo un instrumento educativo más eficaz que una simple recreación de los acontecimientos. Y llega a serlo aún más cuando la historia que se cuenta refleja las historias reales de un tiempo.

La novela de Nicola Viceconti, Emèt (palabra hebrea que significa “verdad”), subtitulada El deber de la verdad, es un ejemplo de logro de este proceso. A través de un thriller rápido e impresionante, el cual es también una parte narrativa bien escrita, el autor nos lleva al mundo olvidado de la Argentina después de la segunda guerra mundial, cuando América Latina servía como refugio no sólo para las víctimas, los sobrevivientes de los campos de concentración, sino también para los verdugos y los criminales de guerra nazis que intentaban enmascarar su propio pasado comprando el anonimato en pasaportes falsos. Los hechos históricos referentes a las organizaciones y a los individuos que ayudaron impunemente a los ex comandantes de las SS a integrarse sin impedimentos en la sociedad argentina, salen a la luz en un primer momento casi como notas a pie de página. Se llevan poco a poco a primer plano en la cautivadora historia del singular encuentro entre Helene, famosa actriz de ochenta años, y Alicia, la joven periodista que va a entrevistarla, trascurriendo la noche en el sofá de la sala de estar escuchando su relato. Aquella noche, Alicia empieza a juntar las piezas de la vida de Helene, tomando la forma de una nueva, completa e impactante verdad. Las dos mujeres descubren que, de manera diferente, el mismo pasado condicionó sus vidas. Se arrastra al lector al misterioso cuento de una desaparición, en una serie de picos inesperados que se renuevan vivamente, aumentando el suspenso. El significado del subtítulo del libro El deber de la verdad, impregna la historia de una manera casi subliminal. Las heridas imborrables infligidas al pueblo judío por el régimen nazi, el porvenir argentino después de la Segunda Guerra Mundial y cómo haya influenciado la vida de ambas mujeres, se revelan en el desarrollo del relato. Al mismo tiempo, sentimos la fuerte necesidad de Helene en querer disipar la niebla del olvido y de las mentiras que rodean su pasado y el de su país.
No es un tema nuevo para Nicola Viceconti. De hecho, es autor de otras tres novelas ambientadas en un contexto argentino, que hablan de temas relacionados al deber de la verdad, en modo particular sobre los desaparecidos, los miles de jóvenes desaparecidos en Argentina durante el período de las dictaduras entre el 1976 y el 1983, torturados en centros secretos de detención y luego asesinados. En todas sus obras, Viceconti mantiene a sus lectores pegados a la página. Se destaca en la capacidad de narración, logrando transmitir el contexto histórico como parte integrante del cuento, acrecentando así el interés hacia ese período y estimulando la formulación de interrogantes. Emèt sumerge al lector dentro de una época crucial, abriendo una ventana sobre una de las verdades que muy a menudo terminan por establecerse en algún lugar remoto del subconsciente colectivo. La novela logra hacernos reflexionar sobre la memoria de este pasado. A pesar de que los personajes sean explícitamente producto de la fantasía, los hechos a los cuales se hace referencia son reales y se pueden verificar en los libros y archivos de la Segunda Guerra Mundial.

Lisa Palmieri Billig


Lisa Palmieri-Billig nació en Vienna, de padres judíos. En el 1938, después del Anschluss nazi de Austria, emigra con la familia a los Estados Unidos donde vive hasta el comienzo de los años sesenta, período en el cual decide mudarse a Italia para dedicarse a la enseñanza (Lengua y Literatura inglés). Corresponsal histórica del Jerusalem Post en Roma, es vaticanista por el Vatican Insider-La Stampa y representante en Italia y en la Santa Sede del American Jewish Committee (AJC). Durante 25 años cubrió el rol de vicepresidente de la sección europea de Religions for Peace.

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