L’intervista di LimpidaMente a Nicola Viceconti

L’intervista di LimpidaMente a NICOLA VICECONTI

Nicola Viceconti, sociologo e scrittore, laureato in Sociologia e in Scienze della Comunicazione, è appassionato di storia e cultura argentina ed è impegnato nella difesa dei diritti umani. È autore di tre romanzi, già premiati in diversi concorsi letterari: “Cumparsita“, “Due volte ombra” e “Nora Lopez, detenuta N84“, pubblicati contemporaneamente in Italia, Argentina e in alcuni paesi del Cono Sur (Cile, Uruguay). È Socio di “24 marzo Onlus”, associazione dedicata al sostegno dei familiari dei desaparecidos argentini.

Nelle sue opere letterarie lei si occupa di storia e cultura argentina. Da cosa nasce questo suo interesse?«Nasce sicuramente da un viaggio fatto alcuni anni fa in quella parte del mondo dove due straordinari paesi (Argentina e Uruguay) si affacciano su un grande fiume: il Rio de La Plata. Devo ammettere che al principio il viaggio, stabilito in un momento di piena affermazione del tango in Italia, aveva come obiettivo soddisfare una certa curiosità sociologica sulla diffusione del fenomeno. La mia intenzione era, dunque, quella di scoprire le radici sociali del tango nella terra d’origine, osservare il suo variegato universo e respirare l’atmosfera autentica delle milonghe di Buenos Aires e Montevideo. E così è stato; grazie alla frequentazione di ambienti tangheri, estranei al circuito turistico, ho trovato le risposte alle mie domande. L’esperienza vissuta in una terra attualmente abitata da una popolazione formata per oltre il 40% da discendenti italiani, mi ha consentito di conoscere alcuni aspetti del mondo degli emigranti e di rendermi conto che il tango è profondamente contaminato del fenomeno dell’emigrazione. Grazie alla partecipazione a eventi culturali organizzati da alcune associazioni di emigranti italiani ho avuto modo di approfondire i loro usi, i loro costumi nei quali è presente un velo di nostalgia che accompagna i ricordi del loro passato».
La sua attenzione si sofferma, in particolare, sulla tematica dei diritti umani…«Sì, posso dire che l’interesse per i diritti umani nasce prepotentemente a seguito della visione di alcuni film dedicati al dramma dei desaprecidos dell’ultima dittatura militare che ha colpito il paese alla fine degli anni ’70. La notte delle matite spezzate, la Republica perdita, Garage Olimpo, la Historia Oficial sono solo alcuni esempi. Anche in questo caso, posso confermare che il contatto diretto con persone che hanno vissuto sulla propria pelle l’orrore della dittatura rappresenta senza dubbio la principale fonte di ispirazione. Ho iniziato, pertanto, a realizzare delle interviste con degli esuli, alcuni dei quali sono sopravvissuti grazie all’intervento dell’ex console italiano a Buenos Aires Enrico Calamai. Ho visitato, inoltre, alcuni ex Centri clandestini di detenzione (oggi Centri per la memoria) sparsi in tutto il paese».
Tra le opere da lei pubblicate ha ottenuto un particolare successo “Nora Lopez. Detenuta n. 84”. Chi è la protagonista di questo libro?«Nora Lopez è un personaggio di fantasia senz’altro rappresentativa di una delle tante vittime della dittatura argentina. È una sopravvissuta al famigerato centro di detenzione Club Atletico di Buenos Aires, costretta all’esilio. La donna prova a ricostruirsi una vita fuori dal suo paese portandosi dietro le ferite mai rimarginate di un periodo di detenzione e del rapporto patologico con uno dei suoi carcerieri. Come tante sopravvissute, ha dovuto convivere con i sensi di colpa per averla scampata. “Perché io e non un’altra?”, si domanda la protagonista senza mai trovare una risposta, senza immaginare che l’apparato repressivo muoveva le proprie decisioni esclusivamente con il fine di alimentare il terrore e l’alienazione in ogni ambito della società civile. Nora Lopez è una di quelle che il sistema ha voluto “recuperare”, intendendo con questo termine l’attuazione di un progetto perverso di “purificazione” di tutto quello che il detenuto aveva di sovversivo. Obiettivo morale dei militari era quello di procedere al reinserimento di qualche malcapitato nella nuova società argentina di quegli anni, un paese che si autodefiniva “umano e rispettoso del diritto”, grazie ad una vergognosa propaganda di regime. Per comprendere chi è realmente Nora, bisogna attingere dall’esperienza del viaggio che sua figlia Livia decide di compiere in Argentina. Livia è una giovane italiana intenzionata a investigare sul passato di sua madre, detenuta nel carcere di Rebibbia di Roma per l’uccisione di un uomo. Per scavare nel passato della protagonista bisogna anche ascoltare le inquietanti parole di Luis Pontini, il misterioso agente immobiliare di Buenos Aires che, per buona parte del romanzo, costituisce la voce narrante».
Perché ha scelto di raccontare gli aspetti più brutali di quella dittatura attraverso un romanzo e non con un saggio?«Perché credo che la forma del racconto di fantasia, collocato in un preciso contesto storico che possa fornire al lettore le giuste coordinate spazio-temporali del fatto narrato, risulti uno strumento molto più efficace a livello di elaborazione, percezione e comprensione del messaggio veicolato. Il genere del romanzo ad ambientazione storica, al quale mi ispiro con la mia scrittura, tenta di assolvere ad una duplice funzione sociale della scrittura. Da una parte esso assolve ad una funzione “informativa” su quanto accaduto. Nel caso specifico degli anni ’70 in Argentina è bene precisare che questi solo geograficamente sono distanti dalla storia del nostro paese. I romanzi “Due volte ombra” e “Nora Lopez, detenuta N84”, entrambi dedicati al dramma dei desaparecidos, infatti, si riferiscono ad una storia che appartiene a tutti. La distanza geografica tra l’Italia e l’Argentina non corrisponde a quella culturale, politica ed economica che, invece, in quel periodo per taluni aspetti era perfettamente complementare. Inoltre, è utile sottolineare che con questi romanzi si affrontano drammatiche vicende che hanno assunto per la giustizia internazionale una connotazione di “delitti di lesa umanità”, ossia reati che colpiscono l’uomo in quanto essere umano. La seconda funzione di questo tipo di scrittura è quella di mantenere viva la memoria attraverso una forma più agile di lettura soprattutto per i giovani. Si tratta di una scelta a mio parere più efficace per coinvolgere lettori che hanno una particolare predilezione per la finzione verosimile. Lo stesso fenomeno si riscontra anche in un filone della cinematografia argentina: al fianco del genere documentaristico ormai consolidato, la fiction sta risultando sempre più efficace per rappresentare determinate tematiche sociali. Cito a titolo di esempio un film del 2010 intitolato “Eva & Lola” di Sabrina Farjies, una giovane regista di Buenos Aires. Sicuramente un ottimo esempio di cinema intenso e profondo che offre uno sguardo innovativo sulla memoria e l’identità».
Quali sono gli aspetti peggiori della dittatura che lei ha voluto documentare nel suo romanzo?«Intanto faccio una precisazione: nelle pagine di “Due volte ombra” e “Nora Lopez, detenuta N84”, romanzi dedicati entrambi al dramma della dittatura da due prospettive differenti, prevale il protagonismo delle donne. Prima di descrivere quali siano per me i peggiori aspetti dell’orrore della dittatura, vorrei evidenziare una caratteristica che accomuna i due libri. È la componente femminile a rappresentare in entrambi i casi l’elemento trainante della narrazione, lasciando emergere nei protagonisti i sentimenti di forza, coraggio e soprattutto di speranza. Se in “Nora Lopez, detenuta N84”, di fronte al cinico Luis Pontini che narra quasi tutta la storia, c’è una figlia coraggiosa e determinata ad aiutare sua madre, in “Due volte ombra”, il lettore s’imbatte in Paula che, a soli sedici anni, scopre di non essere figlia di quelli che credeva i suoi veri genitori e decide d’intraprendere il difficile cammino di ricostruzione della sua vera identità. Ecco, forse è proprio quello delle adozioni illegali di circa 500 bambini, l’aspetto peggiore della dittatura argentina. Con “Due volte ombra”, ho voluto contribuire al gigantesco mosaico della memoria con un semplice racconto che credo abbia al suo interno una valenza “civile”. In questo recupero delle identità dei figli dei desaparecidos e dell’Argentina tutta, un ruolo importante è quello che tuttora svolgono le Abuelas de Plaza de Mayo. Trentacinque anni di instancabile lotta che inizia in pieno periodo dittatoriale. Successivamente, durante i primi anni della democrazia, il governo argentino promulgò la legge 23511 nel 1987 che istituì la Banca Nazionale dei dati genetici. In questa banca si conservano oggi i campioni di sangue dei familiari dei desaparecidos e tutti i giovani che nutrano il sospetto sulla propria identità. possono richiedere perizie genetiche. Ad oggi le nonne hanno ritrovato 109 nipoti e la ricerca continua con un particolare interesse anche nei confronti del nostro paese. Un’apposita campagna è stata messa in piedi da un paio di anni dall’Ambasciata argentina in Italia e dal mondo dell’associazionismo impegnato in tal senso con la Rete per la Identità Italia».
Secondo la sua opinione, perché gli stati sudamericani sono stati più volte teatro di colpi di stato cruenti?«I colpi di stato che si sono susseguiti in diversi paesi del sud America sul finire degli anni ’70 vanno inquadrati nell’ambito internazionale della Guerra Fredda tra le potenze alleate e l’Unione Sovietica. L’equilibrio omeostatico dovuto alla strategia degli armamenti ad oltranza tra le due potenze, ha fatto si che nei Paesi dell’America Latina si scovasse il “nemico” all’interno dei propri confini territoriali. Ufficialmente la caccia alla sovversione alimentata dal timore dell’avanzata di ideologie comuniste e socialiste appariva come il principale motivo. In realtà la svolta autoritaria in America Latina è legata soprattutto alla realizzazione di un progetto economico. Essa fu finalizzata a imporre il modello economico neo-liberista, dettato dal F.M.I. Un modello orientato allo smantellamento dello stato sociale che portasse benefici soltanto ad alcune fasce sociali, come fu denunciato nel primo anniversario del golpe con una lettera aperta firmata dallo scrittore Rodolfo Walsh, che venne ucciso il giorno dopo averla scritta. Le dittature in America latina rientrano nell’operazione Condor, che consisteva in una stretta collaborazione fra i servizi segreti di alcuni paesi: Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, Cile, Bolivia e Perù. L’obiettivo del piano era creare una “zona franca” in cui i militari potevano spostarsi liberamente per cercare i propri oppositori politici. Le forze militari locali fornivano il loro appoggio nella ricerca, nel sequestro, nella tortura e nell’eliminazione silenziosa degli oppositori in una collaborazione che oltre a garantire scambio di informazioni, facilitava la repressione in tutti questi paesi. Concludo questa riflessione ricordando che la vicenda del Piano Condor, apparentemente così lontana nel tempo, rappresenta un argomento attualissimo oggi in Italia. L’11 ottobre scorso presso il Tribunale di Roma è stata fissata l’udienza preliminare del Processo Condor nel quale il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ha chiesto il rinvio a giudizio di 35 imputati – due cittadini boliviani, 12 cileni, 4 peruviani e 17 uruguaiani – per il loro coinvolgimento nell’uccisione di 23 cittadini italiani, tra il 1973 ed il 1978 nell’America del Sud».
La vicenda dei desaparecidos ha colpito la sensibilità di persone di tutto il mondo; quali sono le sue considerazioni su questo argomento?«Credo fermamente che il dramma dei desaparecidos, così come tutte le violazioni dei diritti umani, travalichi le frontiere di un singolo paese e coinvolga tutti. La sparizione sistematica e forzata delle persone è una storia che ci riguarda. I processi svolti in Italia contro i militari argentini per alcuni desaparecidos italiani (Giovanni e Susana Pegoraro e la calabrese Angela Aieta) ne sono un esempio. L’Italia alla quale faccio riferimento non è certamente quella delle porte chiuse dell’Ambasciata ai tempi della dittatura, ma quella che sta vicino ai diritti umani, quella dell’ex presidente Sandro Pertini che, per ben quattro volte, ha ricevuto le madri della Plaza de Mayo e che nel 1983 ha scritto direttamente al dittatore Bignone per denunciare i delitti orrendi che colpivano l’Argentina e tutta l’umanità. Per fortuna l’Italia di oggi conferma il suo impegno nel giusto percorso di ricostruzione della memoria attraverso la ricerca della verità. Lo stato italiano ha recentemente consegnato all’Archivio Nazionale della Memoria argentino i fascicoli relativi a 60 cittadini italiani, cittadini con doppia nazionalità o cittadini argentini di origine italiana, desaparecidos o vittime della dittatura argentina. Questo è solo uno degli effetti dell’applicazione del Memorándum de Entendimiento firmato tra i due paesi nel giugno 2011. L’Italia è il primo paese europeo che consegna questo tipo di documenti. Tali documentazioni d’archivio, custodite finora presso la rete diplomatico-consolare italiana in Argentina sulle vittime della dittatura militare, ha lo scopo di facilitare la ricostruzione del periodo storico di quei tristi anni. Per spiegare meglio l’importanza dei desaparecidos nel mondo prendo in prestito un concetto espresso in un saggio di Claudio Tognonato: quelli della dittatura argentina sono stati “anni di denso e quotidiano terrore”. È un dovere di tutti oggi continuare a parlare di questa storia perché i desaparecidos hanno lasciato dietro un vuoto incolmabile… la presenza di ciò che manca».
Come ci si dovrebbe comportare di fronte a questo genere di avvenimenti? Come si potrebbero salvaguardare i diritti umani quando vengono violati?«Credo che un buon antidoto per contrastare la violazione dei diritti umani sia rappresentato dall’azione congiunta (istituzioni, associazioni e singoli cittadini) di ricostruzione della memoria. Joel Candau, un antropologo francese, considera la memoria come una grande cornice messa a disposizione della collettività che “non vale tanto per quello che è, ma per l’uso che se ne fa”. Questo per dire che quando ci riferiamo a situazioni storiche nelle quali sono stati commessi crimini che investono l’intera umanità, la memoria dovrebbe diventare qualcosa di dinamico e trasformarsi in azione. A tale proposito, vorrei citare anche Vera Vigevani, una madre de Plaza de Mayo della linea Fundadora, che ha coniato l’espressione Militanza della memoria. Una memoria dotata di una forza dirompente che non si limita a un atto commemorativo del passato ma si trasforma, appunto, in azione. Essere militanti della memoria è un dovere che appartiene a ognuno di noi, sia come singoli individui, sia come collettività. Solo così si riuscirà a fare qualcosa di utile per mantenere attivi gli anticorpi della coscienza civile, che poi costituiscono gli elementi che ci consentono di mobilitarci ogni volta che i diritti umani, in ogni parte del mondo, vengono calpestati».
Scriverà altre opere letterarie ambientate in Argentina? Quali sono i suoi programmi futuri come scrittore? «Pur non avendo parenti emigranti, il percorso che intrapreso con la scrittura mi induce ogni anno a viaggiare in quella parte a sud del mondo. Lì è custodita la mia patria interiore, l’Heimat ispirativo delle storie che racconto. Per questo ho provato un grande piacere quando recentemente, in occasione di una giornata di studio dedicata alla memoria e all’identità, sono stato presentato pubblicamente come lo scrittore italiano con l’anima argentina. Seguirò a raccontare storie che in qualche modo confermano il legame tra l’Italia e l’Argentina. Così com’è stato per il tango, l’emigrazione e la dittatura, il mio prossimo romanzo affronterà un’altra vicenda che ancora una volta vede coprotagonisti i due paesi: la fuga dei criminali nazisti attraverso la cosiddetta rat line che partendo dalla Germania prevedeva una tappa a Genova prima di approdare in Argentina. Il romanzo sarà pubblicato contemporaneamente in Italia e Argentina entro il primo semestre del 2014».

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