Dal real meravilloso al realismo magico – IlSudEst

Nicola Viceconti – Articolo pubblicato il 3 maggio 2014 – IlSudEst

La recente scomparsa di Márquez, uno dei massimi esponenti della letteratura contemporanea, ci impone alcune riflessione sulla corrente di pensiero del “realismo magico”, sulle sue origini e le sue caratteristiche letterarie e culturali. Al riguardo, ho trovato particolarmente interessante uno studio della Professoressa Susanna Nanni dell’Università RomaTre, riassunto di seguito che, con chiarezza espositiva e rigore scientifico, traccia un percorso interpretativo di uno degli aspetti più importanti della letteratura dell’America Latina.

Il termine “realismo magico” fu utilizzato per la prima volta nel 1925 dal critico tedesco Franz Roh per descrivere “l’insolito realismo” e per designare la produzione pittorica del post-espressionismo il cui obiettivo era, appunto, “indagare la realtà scoprendo il mistero nascosto negli oggetti concreti della vita quotidiana”. Secondo tale accezione, dunque, “magico” si riferisce all’atto di percezione della realtà. E se nella pittura tale concetto è andato via via identificandosi con una visione “lucidamente attonita del reale”, nella letteratura latinoamericana ha finito per contraddistinguere un filone letterario in cui gli elementi magici appaiono sempre più fusi in un contesto realistico. Per meglio comprendere tale movimento però è necessario fare un passo indietro e partire da Alejo Carpentier, l’intellettuale cubano, che può essere considerato l’iniziatore del realismo magico, o come lui stesso affermava, del real meravilloso.

Le contaminazioni francesi nella crescita culturale di Carpentier sono fondamentali. Durante il suo lungo soggiorno a Parigi alla fine degli venti lo scrittore cubano frequenta il circolo dei poeti e pittori surrealisti. Il surrealismo significò molto per Carpentier perché, come lui stesso affermò in una intervista del 1985 “Mi insegnò a vedere aspetti della vita americana che non avevo considerato prima” e ancora “furono i surrealisti che mi aiutarono a incontrare quello che oggi chiamo il real meraviglioso. Furono loro ad aprirmi gli occhi e a mostrarmi cosa poteva esserci di meraviglioso in una strada di Parigi”. Carpentier torna a Cuba con una nuova prospettiva che gli consente di esprimere il mondo americano superando il concetto che il surrealismo aveva del meraviglioso: se a Parigi il “meravilloso” andava cercato, creato, a Cuba esso era ovunque, esisteva a portata di mano. In America latina, quindi, secondo Carpentier, il meravilloso si poteva incontrare allo “stato puro” all’angolo di ogni strada. Ma quali sono gli elementi che caratterizzano il meravilloso per Carpentier? La profonda differenza tra come lo intendeva lui e i surrealisti consiste nel fatto che nel primo caso è “reale” e “spontaneo”, mentre nel secondo si caratterizza per essere “artificiale”. Il poeta francese André Breton, altro importante teorico del surrealismo, sosteneva che “bisogna spogliare gli oggetti che ci circondano dal loro aspetto abituale ed osservarli come se fossero insoliti”. Inoltre, per lui il “meraviglioso” è associato al “bello”.

Carpentier, invece, considera il real meravilloso come qualcosa d’insolito e singolare. Esso è provocato da una situazione (contesto narrativo) che genera “stupore” come ad esempio quello che deriva dall’incontro di due culture: quella europea e quella del mondo americano. Lo stato d’animo con cui si deve osservare questa meravigliosa realtà sudamericana – segue Carpentier – deve essere “barocco”, ossia qualcosa che è più grande di uno “stile” e che può essere definito come una costante dello spirito umano. Il barocco è uno stato d’animo, un processo dinamico, caratterizzato dalla trasformazione, dal movimento e dall’eterogeneità culturale e razziale. Nella letteratura latinoamericana ilbarroquismo si riferisce alla descrizione. Secondo Carpentier, il romanzo deve andare oltre la narrazione e deve comprendere l’elemento che Jean Paul Sartre chiamava il contesto. Su queste basi Carpentier elaborò la teoria dei contesti superando il realismo tradizionale e creando un nuovo romanzo, completamente latinoamericano. I “contesti” in un romanzo (razziale, economico, politico, culturale, ideologico etc) sono le relazioni che esistono in ogni avvenimento reale.

Gli scrittori latinoamericani hanno messo in discussione nel tempo alcuni schemi del realismo magico ed hanno rivendicato il diritto dell’immaginazione avvalendosene come fattore di trasformazione rivoluzionario della struttura narrativa e come metodo di penetrazione nell’essenza stessa della realtà. Il fantastico diventa così l’esitazione tra lo strano e il meraviglioso ed occupa un lasso di tempo “presente” fra “passato” e “futuro”. L’esitazione è causata dall’intrusione brutale del mistero nella vita reale, cioè da un avvenimento inspiegabile secondo le nostre leggi. Una ridefinizione interessante del realismo magico è quella che ha fornito Miguel Angel Asturias nel suo saggio “La novela latinoamericana” del 1964, secondo cui esiste una realtà sognata alternativa alla realtà vissuta“Il mio realismo è magico perché rivela un po’ di sogno” dice Asturias parlando appunto delle due realtà sovrapposte.

Tornando alla concezione di realismo magico fornita da Marquez, è interessante notare come il “fantastico” si identifichi con il “reale” e il “quotidiano”. Lo scrittore colombiano afferma una simile visione dello straordinario in una intervista del 1982[1]: “La vita di tutti i giorni in America Latina ci dimostra che la realtà è piena di cose straordinarie”. Il mondo fantastico al quale fa riferimento Marquez è quello della sua infanzia, offerto principalmente da sua nonna (doña Tranquilina), dalle sue zie (Francisca, Petra ed Elvira) e dalle domestiche indie goajiro che erano a servizio nella casa. L’universo soprannaturale raccontato da queste donne entra prepotentemente nella vita di Marquez trasformando il fantastico in quotidiano. Miti, leggende, credenze, presagi e le evocazioni di nonna Tranquilina facevano parte della vita di tutti i giorni. Con riferimento a Cent’anni di solitudine, il romanzo che ha reso celebre Gabriel Garcia Marquez, è interessante cogliere le motivazioni dello scrittore colombiano: “ciò che mi ha permesso di scrivere questo romanzo è stata la semplice osservazione della realtà, la nostra realtà”. Nel mondo latinoamericano, talvolta, un fatto reale, nel momento in cui viene raccontato, può divenire un fatto soprannaturale, mentre ciò che è frutto di fantasia, può divenire reale. Alcuni critici hanno formulato una ipotesi analoga in merito aCent’anni di solitudine sostenendo, appunto, che alla narrazione del romanzo Marquez ha voluto conferire un’entità soprannaturale ad alcuni oggetti della vita quotidiana mentre ha voluto “naturalizzare” alcuni fenomeni straordinari. Ne è derivato un modo di scrivere in cui il meravilloso è raccontato come se fosse normale, mentre tutto quello sancito dalla storia ufficiale appare come una mostruosa deformazione della realtà. Si tratta della naturalizzazione del soprannaturale che rende fantastico il quotidiano di tutta la realtà latinoamericana.

Grazie al realismo magico e alla sua ricchezza infinita di sfumature narrative, abbiamo goduto per anni di un particolare modo di raccontare. Oggi, nonostante la diffusione di una narrativa breve e diretta, lo sviluppo del romanzo storico, del reportage narrativo e del romanzo giallo, credo che continuerà ad esistere una scrittura capace di alimentarsi di storie differenti e di sovrapporre alla realtà l’inarrestabile slancio della fantasia, dell’immaginazione, delle tradizioni culturali che appartengono all’anima di un intero popolo.

 


[1] Plinio Mendoza, Odor di guayaba. Conversazioni con Gabriel Garcia Marquez, Mondadori – 1982.

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