Benevento e la memoria

Scritto da Paola Corona

L'Argentina dei "desaparecidos: né morti né vivi", una storia che ci riguarda
L'orrore e le persecuzioni della dittatura nel paese latino-americano
spingono a cercare nipoti sconosciuti anche in Italia

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Volti incappucciati e corpi in mare sono i “desaparecidos”. Identità seviziate, cortine tra vita e morte, ancora i “desaparecidos”. Non si contano più: 30.000 persone, un’intera generazione scomparsa. Sono il dominio della contraddizione: quelli dall’esistenza rubata, vivi e morti, nel regno del nulla. Argentina, ai tempi della dittatura: il dramma del paese figlio dei nostri migranti. “Encuentro con la memoria” celebra, nella cornice del Chiostro di San Francesco, sabato scorso, le vite spezzate nell’ombra degli scomparsi, oppositori al regime del 1976. Memoria e tango insieme cuciono un ponte di pezzi di storia, d’identità comuni tra Italia e Argentina. D’un tratto sono molto più vicine. La distanza si restringe, scompare. 23 marzo: il “Dìa de la Memoria de las victimas de la Dictadura Militar en la Argentina”. 24 marzo: l’eccidio delle Fosse Ardeatine. È tutto un sentire, insieme e forte. “La memoria si risveglia per ferire i popoli addormentati che non la lasciano vivere libera come il vento”, dice Nicola Viceconti, sociologo e scrittore, citando le parole di una canzone dell’argentino León Gieco.

Il voler ricordare pagine buie del proprio passato, serve convertirle in un messaggio pedagogico per il futuro, nel segno di quel “Nunca más”, il mai più della storia ripetibile. È un auspicio e insieme una speranza condivisa dai due popoli che vivono nel segno della somiglianza. L’Argentina langue ancora oggi i suoi scomparsi, vittime di un sequestro dittatoriale sempre identico, un cliché. Lo descrive Nicola Viceconti nel romanzo “Nora Lopez, detenuta N84”, vincitore al XI Concorso Inedito 2012. L’orrore inizia con un cappuccio sulla testa, che spersonalizza e disorienta, consegnando al passato un’identità già imprigionata. Poi, con le torture giunge la disumanizzazione e i desaparecidos sono carne da macello, denudati all’umiliazione totale e assoluta. Inizia la cancellazione dal mondo: ci sono e non ci sono più. Sedati e portati al largo, vengono gettati in mare. Esistono come pesci d’acqua o sirene marine: nessuno ha la prova della loro vita o morte. Il rito macabro, ripercorso dalle immagini del cortometraggio di Daniele Cini, toglie il sepolcro e consegna persone a una morte di cui non sono partecipi. Da estranei a sé giungono a essere estranei da sé. “Desaparecidos è un’incognita, non ha identità, non c’è”, così ne parla il generale argentino Videla, in uno dei video proiettati durante l’incontro della memoria. Davanti alla commissione interamericana per i diritti umani, giunta a indagare su tali scomparse, Videla le descrive come se si trattasse di un fenomeno paranormale. Loro, le vittime, trovano voce nelle urla di un tanghero, che nell’incertezza del buio dei suoi occhi bendati, chiama la moglie incinta e, trovatala, la fa ballare. I due maestri di tango argentino, Mercedes Quilici e Rogerlio Bravo, riportano il fil rouge della catena della passionalità e della ricerca dell’altro con i passi di un ballo fortemente osteggiato durante la dittatura del paese sud-americano. Nato nei quartieri periferici e malfamati, incrocio tra culture impregnato della memoria argentina, la danza del “tàngere” unisce la sensualità all’anima sociale, come richiesta di un bisogno. Cercare argentini e migranti italiani scomparsi non è stato una necessità avvertita solo dalle loro madri, private di un corpo su cui piangere e quindi anche della possibilità di elaborare il lutto. La battaglia più sagace, però, è stata quella delle “abuelas”, le nonne desiderose di ritrovare i nipoti mai conosciuti. “Spesso venivano sequestrate donne incinte: erano sottoposte a torture anch’esse, ma prima di ucciderle si aspettava il parto. I loro bambini erano bottino di guerra. Venivano dati in affido a famiglie di militari che non erano riusciti ad avere figli, deturpando così il nostro concetto di adozione”, racconta Viceconti. L’autore del libro “Due volte ombra”, attraverso una storia verosimile a molte altre realmente accadute , fa emergere il dramma di Paula, figlia di una donna scomparsa, che d’improvviso scopre di avere una nuova identità e di appartenere a una famiglia diversa da quella che l’ha cresciuta. Un’intera generazione di “nietos” (nipoti) subisce oggi lo shock esistenziale della consapevolezza di aver vissuto per anni con gli stessi assassini dei loro veri genitori. “La marcia delle abuelas de Plaza de Mayo è diventato in tutto il mondo simbolo di speranza”, afferma l’autore appassionato di storia e fenomeni dell’America Latina. “Le nonne argentine, vedendo sparire le loro figlie, si riunirono in piazza in segno di protesta e lì, per ordine della ronda militare a cavallo, cominciarono a marciare. Continuano ancora oggi”, racconta. L’Argentina, dopo trentacinque anni dal terrore dittatoriale, ha creato una banca dati nell’ospedale Durand di Buenos Aires in grado di comprovare il riconoscimento dei “nietos” di dubbia identità attraverso analisi del Dna sui prelievi di sangue. “Molti di essi, figli di emigranti, potrebbero essere arrivati in Italia. Grazie ad una rete d’identità, creata nel nostra penisola, è possibile sottoporsi agli esami tramite i consolati”, precisa Viceconti, sottolineando i legami forti tra il nostro paese e la sua gemella d’oltreoceano. Il perché di tanto male è la domanda che imperterrita sconquassa le menti di tutti i superstiti e dello stesso scrittore. La risposta che gli è sembrata più logica è data da Hannah Arendt , che nel processo ad Eichmann accusato per crimini nazisti, definisce il male “banale”, un’ottusa assuefazione, nell’eseguire gli ordini. L’unico antidoto a questo male può essere mantenere viva la riflessione e vigilare tenendo alta l’attenzione. L’incontro di commemorazione si conclude con un ultimo tango, che, nell’armonia dei corpi, disegna speranze per il futuro. La morte degli scomparsi non chiude la storia del popolo argentino. La perpetua, ancora una volta, come ombra, sulle vite inconsapevoli dei “nietos”, i nuovi “desaparecidos”.

Fonte: bmagazine.it

 

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