Sconfiggere le barbarie risvegliando la coscienza

 

di Nicola Viceconti e Patrizia Gradito – 21 gennaio 2019.

“… era colto, figlio di musicista, suonava il violino. Dunque, ahinoi, non è così vero che cultura e bellezza da sole  migliorino la vita. Come mai la barbarie più assoluta ha attecchito nel popolo più istruito d’Europa?”

Questi gli interrogativi che suscita l’osservazione di una figura terrificante del nazismo, Reinhard Heydrich, il capo della Gestapo, braccio destro di Himmler, il feroce generale delle SS cui Hitler affidò la questione della “soluzione finale” e il protagonista del film biografico “L’uomo dal cuore di ferro”, come era stato soprannominato dallo stesso Fuhrer.  Il romanzo “HHhH” di Laurent Binet, da cui è tratto il film, pubblicato nel 2010, ricostruisce le fasi dell’Operazione che, nel 1942 portò all’uccisione del gerarca nazista, unico attentato andato a buon fine. nei confronti di un alto ufficiale delle SS. HHhH è l’acronimo del tedesco “Himmlers Hirn heißt Heydrich”, cioè «il cervello di Himmler si chiama Heydrich».

Molti si domandano come sia possibile che il più feroce dei gerarchi – noto come “il macellaio di Praga”,  uomo di grande cultura, fine intenditore di musica classica,  appassionato di filosofia – fosse un mostro di perversione, in cui ideologia e psicopatologia si siano personificate nella più terrificante macchina di efficienza nell sistema dello sterminio. La domanda sembra dunque mal posta oppure é capziosa, volutamente una forma di provocazione? Certo è che suscita un soprassalto di sgomento, un senso di impotenza. Interrogativi degni di un protocollo psichiatrico su cui ci arrischiano ad aprire una riflessione.

La cultura descrive un complesso di conoscenze che alberga nell’individuo e che si intreccia con l’esperienza collettiva di un popolo, costruita da memorie, riti, costumi e attitudini.  Come si attinga a un tale patrimonio e come si decida di investirlo o di utilizzarlo appartiene alla sfera personale e dipende da scelte. Ecco che una delle possibili risposte ci colloca nell’ambito dell’etica, dove il potere di scelta dell’individuo costituisce un elemento imprscindibile. La cultura offre angoli visuali, strumenti per leggere la realtà, ci addestra a pensare in modo critico, sempre che sia questa la volontà che ci muove.

Da Platone fino a Husserl, la storia del pensiero occidentale si interroga sull’unione di ragione e volontà e sugli effetti. Tutta l’esistenza umana è imperniata su un dualismo tra mente e cuore, tra bene e male che,  se riesce a comporsi in una sintesi, produce una mirabile e illuminata armonia.

Tale dilemma ci riporta alla storia del dott. Faust che non pago delle sue conoscenze scientifiche e mosso dalla brama di potere vende l’anima al diavolo e commette una serie di delitti. Nel prologo all’opera, Goethe racconta della scommessa che Mefistofele lancia a Dio, convinto che l’uomo usi la ragione solo per fini malvagi e che riuscirà a sedurre il dott. Faust, medico e teologo dalla condotta esemplare. Dio non accetta e non interviene perché lascia all’uomo la possibilità di scegliere.

Come nella tragedia faustiana, nell’ascesa di Heydrich  e nell’intero sistema nazista, quasi sempre è il potere a fare da leva al male assoluto, quando la ragione non media con i dettami della coscienza. Come sapientemente illustrato da Annah Harendt,  nel noto studio “La banalità del male”, l’antidoto più efficace a tutto ciò  è quello che vede insieme alla capacità di pensare, il mantenere viva la coscienza. (foto di Nicola Viceconti)

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