Nicola Viceconti e l’eleganza della memoria – Silvia Leuzzi

Articolo di Silvia Leuzzi pubblicato su “Terzo Binario” – 5 aprile 2014

Imbattersi nella narrativa di Viceconti è un’avventurosa ed accattivante impresa. I suoi libri non si perdono dietro alchemiche parole poetiche. Un diffuso equilibrio sembra soppesare ogni frase, affinché non ve ne sia alcuna superflua. Una narrazione degli eventi sapientemente costruita per acciuffare per il bavero il lettore, costringendolo a proseguire nella lettura preso da una curiosità insaziabile. Nicola Viceconti è laureato in Sociologia e Scienze della comunicazione. Le sue opere hanno una decisa impronta sociologica nell’analisi delle situazioni in cui si vengono a trovare i personaggi. La prosa scorrevole ha il pregio di non annoiare, anzi appassionandoci agli eventi, apprendiamo importanti informazioni sulla storia e sul popolo argentino, senza la pedanteria del saggio o del romanzo puramente storico.

Dentro al grande grembo dell’emotività il buon Viceconti trova la forza di far urlare i suoi libri, lo stesso urlo di silenzio delle madri di Plaza de Mayo, ormai nonne, ma sempre ferme e irriducibili nel volere giustizia per i loro figli innocenti massacrati barbaramente. In questi romanzi l’ordine degli avvenimenti cronologici e quelli della storia si intrecciano armoniosamente, le eventuali distorsioni temporali se ci sono, sono impercettibili. E’ invece molto usato il flash back chiamato anche “analessi” e cioè la rievocazione di eventi successi precedentemente al tempo del racconto. E’ questo salto temporale che ravviva la memoria, la rende presente anche a chi non vorrebbe, soprattutto a chi non vorrebbe, a chi nell’oblio costruisce soprusi. Il percorso della memoria intrapreso dall’autore comincia dall’emigrazione, un fenomeno che ha contribuito in maniera sostanziale a dare all’Argentina l’aspetto sociale che ha. Più di tre quarti della popolazione è di origine italiana, immigrati insomma che cercano un’identità culturale e il Tango, che è composto da musica, testi e ballo, ossia espressione corporea, diventa una tradizione popolare. Il Tango è trasmissione di idee, è emozione collettiva.

Il tango è un pensiero triste che si balla” dice Enrique Santos Discépolo* 

Eccoci entrati dentro il primo libro di Viceconti “CUMPARSITA “: il protagonista Domenico Labriola era un tanguero di prim’ordine ai suoi tempi, irriducibile fumatore, recalcitrante vecchietto che instaura un rapporto di sincera amicizia con un’infermiera di un’umanità tutta sudamericana, che è anche quella italiana di un tempo; un tempo in cui in Italia si era ancora umani. Poi c’è Raul, il figlio del miglior amico di Domenico: Saverio. Il quale, quando il ragazzo aveva quindici anni o giù di lì, un bel giorno è sparito nel nulla, lasciando una lettera per chiedere perdono al figlio di quella scelta dolorosa ma necessaria. Il dolore di Raul trova conforto in Domenico, che lo accoglie in casa sua e lo segue negli studi. Il rapporto tra i due rasenta la commozione ma senza alcuna stucchevole leziosità manierata. Una pennellata di un sentimento al maschile, fatto di poche parole e qualche pacca di incoraggiamento, il resto sono sguardi e pensieri. Così come il rapporto con Teresa, l’amica della sorella di Domenico. Ricordi di gioventù e quindi di Tango, di confiterias dove ascoltare musica. Uno spaccato dell’Argentina della prima metà del Novecento con i suoi usi e costumi. Il presente ed il passato si miscelano sempre con eleganza e grazia. Domenico parla con l’infermiera Graciela e a lei confida, come fosse un genitore, la storia di Raul e del suo amico. Con lei rievoca l’arrivo in terra argentina suo e di Saverio e di tutti gli emigranti di quegli anni e non solo, la famiglia, le tradizioni.

* Poeta, attore, artista molteplice che scrisse i testi di molti dei più famosi Tanghi Argentini. Fu considerato un precursore dell’esistenzialismo. Nato nel 1901 e morto nel 1951 a Buenos Aires.

Questo testo assume proprio in questi tempi confusi, un valore maggiore, proprio perché anche ai nostri giorni i giovani sono costretti ad emigrare per lavorare. C’è in tutto il racconto una sottile nostalgia di un passato finito, di una terra come l’Italia abbandonata, la nostalgia che si trascina sulle note di un bandoneón, che fa volteggiare una dama da sogno, che fa chiudere gli occhi con un sorriso abbozzato sulle labbra, così come è il Tango… appunto. Il secondo romanzo di Nicola lascia la speculazione sociologica di un’identità a noi affine e si inerpica in quel percorso accidentato e difficile, quale è il delicato tema della dittatura militare. Per la generazione nata tra la fine degli anni ’50 e la fine degli anni ’70 la scelleratezza della dittatura dei colonnelli era stata divulgata e spiegata durante i collettivi fiume, che si tenevano nelle scuole. Dei genocidi e delle sparizioni arrivavano notizie frammentarie dai pochi scampati. Nicola trovandosi in Argentina non poteva ignorare il fenomeno della dittatura e gli effetti devastanti prodotti dalla stessa, ancora visibili dopo trent’anni.

“Due volte ombra” racconta la storia di Paula, una ragazzina di sedici anni, che vive con una madre distaccata ed anaffettiva e con la Tata Maria, che rappresenta il suo unico riferimento di adulto. Il padre risulta morto tanti anni prima in un incidente stradale. All’insaputa delle famiglie nelle scuole pubbliche vengono fatte delle analisi a campione su segnalazione della magistratura interessata, per scoprire gli eventuali figli dei desaparecidos, che per molti anni si credette fossero stati uccisi. In seguito ai progressi della genetica, le infaticabili NONNE, affiancate ormai da giudici e assistenti sociali sono riuscite a scoprire che i bimbi molto piccoli venivano dati in adozione alle famiglie di militari o comunque influenti e vicine al regime.

Paula è una di loro; proprio da quell’indagine genetica che comincia la sua avventura. Paula è il nome della ragazzina di sedici anni, che grazie alla tenacia dei suoi nonni e di un giudice determinato, ha potuto finalmente riabbracciare suo padre, da anni emigrato in Francia dopo essere stato torturato. La madre invece non ce l’aveva fatta, era stata fatta sparire dopo averle strappato la figlia. E’ analizzato con sensibilità e amore lo smarrimento di questa adolescente, che da un giorno all’altro si trova catapultata in tutta un’altra famiglia ma, quel che è peggio, sentirsi chiamare con un altro nome sconosciuto. E Viceconti sembra voler lenire lo shock, chiamando la ragazza Paula per quasi tutto il racconto, come a lasciarle almeno lui, il tempo di abituarsi a tutti questi cambiamenti. Ci richiama l’attenzione su un dramma, che neppure riusciamo a comprendere realmente, nonostante il nostro sottaciuto e pomposo buonismo borghese: accorgersi in un giorno qualsiasi della nostra vita che quel nome con il quale da sempre ci identifichiamo, è falso, non ci appartiene. E’ spaventoso… riflettiamoci un attimo. Non a caso “Due volte Ombra” un processo di identità, un travaglio doloroso, una rabbia sorda di fronte alla crudeltà, alla meschinità, alla menzogna. La verità con la forza di una cascata d’acqua e luce dilava la menzogna. E seppure con un dolore sempre vivo, la vita per Mirta Gueval ha finalmente le finestre aperte sul mondo.

L’ultimo libro edito da Viceconti prima di “Emèt – Il dovere della verità”, è Nora Lopez. Se posso essere sincera questo libro l’ho amato più degli altri. Innanzitutto la struttura della narrazione si rivoluziona. Non c’è più il narratore nascosto che aleggia sulla pagina. L’uso della prima persona ci mette a fianco del protagonista, che condivide con noi i suoi pensieri. Ora sembrerebbe logico che il protagonista fosse una vittima e per di più donna, visto il titolo. Invece Nicola azzarda violentando se stesso, veste i panni di un ex capitano, noto per la sua crudeltà raffinata Dario Romero meglio conosciuto come El Principe. Quel parlare direttamente con il lettore ci rende partecipi di quel suo scomodo passato, dal quale era certo di essersi liberato. Ma la giustizia ha i panni della figlia di Nora. E’ interessante l’analisi psicologica dell’ex torturatore. Quanti altri torturatori sono come Romero? E’ proprio di questi giorni l’ultima raffica di arresti di insospettabili signori anziani, che grazie ad aiuti sono riusciti a mimetizzarsi per non pagare le loro colpe.

Dario Romero li incarna in tutta la loro meschinità. Nora è solamente raccontata, un’ombra dolorosa che aleggia e che finalmente si ricompone nelle ultime pagine. Nora è la forza di un’anima che nonostante le cicatrici riesce ancora ad alzare lo sguardo. Nora è il simbolo di un perdono che non si può concedere. Nora è simbolo di intelligenza e sagacia femminile. Nora esce dall’inferno. Sopravvive alla tortura, agli stupri. Nora che nonostante l’avvilimento della condizione di detenuta, ha una bellezza a cui non può resistere il sergente… Questo amore/non amore è usato dal vecchio aguzzino per screditare Nora agli occhi della figlia. Ma la meschinità in questo caso non riesce a scalfire il potere della verità. E proprio questa figlia, la sua tenacia, il suo amore salveranno Nora. Non vi dico di più, non è giusto, c’è quella sottile suspence che rende il racconto veramente apprezzabile. Ora nell’attesa di leggere l’ultimo libro che andremo a presentare al Centro Diurno Pegasus… Il 5 aprile alle ore 18, sulla base della lettura di Cumparsita, Due volte ombra e Nora Lopez posso affermare che Nicola Viceconti tratta temi difficili leggerezza ed eleganza, riesce ad infondere ai suoi scritti una speranza sottile e soave che pare ci esorti ad andare avanti con queste parole non dette:

IL DOLORE NON SI PUO’ DIMENTICARE, MA SI PUO’ SEMPRE RICOMINCIARE 

DESAPARACIDOS

Uscite fuori ombre!
Mostrate le mani piagate,
le facce da cicatrici sfigurate.
Non avete razza, ombre!
Non avete più un cuore
eroso da tanto dolore.
Cristalli e monete sonanti
annullano i sogni
e non ci sono canzoni e cantanti,
c’è il silenzio e la memoria,
c’è un dolore opprimente
che intride duramente
l’animo mio straziato,
di fronte a quel che è stato
come l’avessi procurato
oppure patito in un tempo infinito;
facendo parte di un tutto
che ha sublimato il sorriso
ma ha coltivato livore,
triste rancore di una supremazia
tra semplici uguali pieni di idiozia

5 aprile 2014
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