“Emèt, Il dovere della verità” – Recensione di Ilaria Goffredo

Recensione su “Emèt – il dovere della verità” – Ilaria Goffredo

Recensione. Faccio una premessa. Trovo che gli autori – uomini – che scrivono storie che hanno per protagoniste delle donne, abbiano una sensibilità particolare. Viceconti ne da ampiamente prova in ogni suo libro. La voce narrante di Helene cattura il lettore e lo induce, gentilmente, a continuare a leggere, come se stesse ascoltando dal vivo il racconto, seduto in una veranda di Buenos Aires. Attraverso i ricordi e l’introspezione dell’anziana diva l’autore indaga i comportamenti umani in situazioni estreme, le diverse reazioni possibili di fronte al dolore, i sensi di colpa capaci di tormentare per una vita intera, i rapporti diversi tra i membri di una famiglia. I personaggi di Viceconti si scoprono pian piano durante la lettura, in maniera realistica, come quando si fa lentamente amicizia con uno sconosciuto. Come già dimostrato in Nora Lopez, detenuta N84 – romanzo che ho recensito qui – l’autore possiede una grande abilità nell’intrecciare fluidamente passato e presente: in questo caso le parole di Helene svelano di volta in volta piccoli indizi sul mistero di Diego, senza rivelare più di quanto necessario, ma riportandoci pian piano alla seconda guerra mondiale e a ciò che è venuto dopo, la ricerca dei criminali nazisti in sud America. Affascinanti nella loro descrizione sono l’atmosfera argentina e quella parigina; le metafore impiegate sono fini, eleganti. Ancora una volta Viceconti dimostra di essere maestro nel trattare le tematiche della memoria e dell’identità, senza il clamore cupo della cronaca nera e senza sentimentalismi eccessivi, raccontando semplicemente la verità: una verità che è dovere per chi la conosce, e diritto per la ignora. (Ilaria Goffredo)

Trama: Helene Sanz, un’anziana diva del teatro tornata a vivere a Buenos Aires, viene a conoscenza di una sconcertante verità su Diego Tomasi, suo marito, vittima nel 1964 di un misterioso omicidio.Le ombre sulla vita privata dell’uomo s’intrecciano con un preciso momento storico dell’Argentina: quello durante il quale numerosi criminali di guerra della Germania nazista approdarono nel Paese. Il bisogno di rendere pubblica la verità su tutta la storia assale la donna.  Per farlo, Helene si affida ad Alicia Hernandez, una giovane free lance esperta di teatro e sua devota ammiratrice, la quale accetta di buon grado l’opportunità di intervistarla. L’incontro tra le due si protrae per una notte intera, nel corso della quale le parole dell’anziana diva s’intrecciano con quelle della giornalista, portando alla luce il dolore di un vissuto che, seppur per ragioni diverse, riconduce ad una radice comune. Riuscirà Helene, attraverso l’aiuto di Alicia, a trasmettere il senso reale della sua verità?

Approfondimenti

Emèt: Il sostantivo ebraico emèt, spesso tradotto con “verità”, deriva dal verbo aman, che significa fondamentalmente “essere solido, sicuro”.

Simon Wiesenthal: (Bučač, 31 dicembre 1908 – Vienna, 20 settembre 2005) è stato un ingegnere, scrittore e sopravvissuto alla Shoah austriaco, che dedicò gran parte della sua vita a raccogliere informazioni sui criminali nazisti e a rintracciarli per poterli sottoporre a processo. I primi anni e la seconda guerra mondiale: Simon Wiesenthal era un ingegnere civile. Ricevette la laurea dall’Università Tecnica di Praga nel 1932 dopo esser stato rifiutato dal Politecnico di Leopoli a causa delle restrizioni razziali imposte agli studenti ebrei. Nel 1936 sposò Cyla Mueller. Wiesenthal, quando scoppiò la Seconda guerra mondiale, viveva a Leopoli in Polonia. In seguito al patto Molotov-Ribbentrop, Leopoli fu occupata dall’Unione Sovietica. Il patrigno ed il fratellastro di Wiesenthal furono uccisi da membri del NKVD, la polizia segreta sovietica. Wiesenthal stesso fu costretto a chiudere la sua ditta e lavorare in una fabbrica. Quando la Germania invase l’Unione Sovietica nel 1941, Wiesenthal e la sua famiglia furono catturati dai nazisti ed avviati verso i campi di concentramento. La moglie di Wiesenthal riuscì a nascondere la sua identità ebraica grazie a documenti falsi, che le vennero forniti dalla resistenza polacca in cambio degli schemi degli scambi ferroviari disegnati da Wiesenthal. Simon non fu così fortunato, e fu internato in vari campi di concentramento, dove sfuggì all’esecuzione in varie occasioni.

L’inizio della caccia ai criminali nazisti: Wiesenthal fu liberato dalle forze statunitensi il 5 maggio 1945 dal campo di concentramento di Mauthausen. Quando i soldati lo trovarono, pesava meno di 45 chilogrammi ed era senza forze. Appena si rimise iniziò a lavorare per conto dell’esercito statunitense, raccogliendo informazioni per i processi contro i crimini di guerra nazisti. Nel 1947 lui ed altri trenta volontari fondarono il “Centro di documentazione ebraica” a Linz, in Austria, per raccogliere informazioni per futuri processi. Quando Stati Uniti ed Unione Sovietica persero interesse nel perseguire ulteriori crimini di guerra, il gruppo fu messo da parte. Ciò nonostante Wiesenthal continuò con la raccolta di informazioni nel suo tempo libero, mentre lavorava a tempo pieno per aiutare le vittime della Seconda guerra mondiale. Durante questo periodo Wiesenthal fu essenziale per la cattura di uno degli ideatori dell’Endlösung, Adolf Eichmann (il quale divenne l’organizzatore logistico dell’ Endlösung dopo aver partecipato alla Conferenza di Wannsee in cui prese corpo tale progetto). Dopo l’esecuzione di Eichmann in Israele nel 1962, Wiesenthal riaprì il “Centro per la documentazione ebraica”, che cominciò a lavorare su nuovi casi.Tra i suoi successi più clamorosi vi fu la cattura di Karl Silberbauer, l’ufficiale della Gestapo responsabile dell’arresto di Anna Frank. La confessione di Silberbauer aiutò a discreditare la voce che Il diario di Anna Frank fosse un falso. In questo periodo Wiesenthal localizzò nove dei sedici nazisti messi sotto processo nella Germania Ovest per l’uccisione degli ebrei di Leopoli, città dove visse egli stesso. Tra gli altri criminali catturati vi furono Franz Stangl, il comandante dei campi di concentramento di Treblinka e Sobibor, ed Hermine Braunsteiner-Ryan, una casalinga che viveva a Long Island, New York, che durante la guerra aveva supervisionato l’uccisione di centinaia di donne e bambini.

Il Centro Wiesenthal: Nel 1977 gli fu dedicata l’agenzia per la memoria sulla Shoah, il Centro Simon Wiesenthal (Simon Wiesenthal Center). Il Centro Simon Wiesenthal promuove la consapevolezza dell’antisemitismo, controlla i gruppi neonazisti, gestisce i Musei della Tolleranza a Los Angeles e Gerusalemme, e collabora ad assicurare alla giustizia i criminali nazisti di guerra sopravvissuti.

Condividi questo contenuto:

Leave a Comment