“Infancia Clandestina” – Benjamín Ávila

Recensione di Giulia Bramati 

Ar­gen­ti­na, 1979. Una cop­pia di at­ti­vi­sti, in esi­lio a Cuba, de­ci­de di rien­tra­re in Ar­gen­ti­na sotto falsa iden­ti­tà in­sie­me ai due figli. Il pic­co­lo Juan, di­ve­nu­to Er­ne­sto, si adat­ta ben pre­sto alla nuova vita, ma il pe­ri­co­lo è sem­pre in ag­gua­to. In un am­bien­te di vio­len­za e so­pru­si, è più im­por­tan­te la­scia­re la pa­tria per met­te­re in salvo la pro­pria fa­mi­glia o lot­ta­re per i pro­pri idea­li, ri­schian­do di met­te­re a re­pen­ta­glio le vite dei pro­pri cari? Be­n­ja­min Avila ri­spon­de alla do­man­da, por­tan­do sullo scher­mo una sto­ria ap­pas­sio­nan­te e au­to­bio­gra­fi­ca. “In­fan­cia clan­de­sti­na” rac­con­ta la ne­ces­si­tà di com­bat­te­re per il pro­prio Paese, anche qua­lo­ra que­sta com­por­ti sa­cri­fi­ci. La vita del pic­co­lo Juan viene stra­vol­ta quan­do i suoi ge­ni­to­ri, fer­ven­ti at­ti­vi­sti ar­gen­ti­ni esi­lia­ti in Cile, de­ci­do­no di rien­tra­re in pa­tria per con­ti­nua­re la lotta con­tro le forze ar­ma­te, che osta­co­la­no l’op­po­si­zio­ne al go­ver­no. La si­tua­zio­ne po­li­ti­ca del­l’Ar­gen­ti­na del 1979 è dram­ma­ti­ca: dalla morte del pre­si­den­te Juan Peron, il go­ver­no è in­sta­bi­le e ha ge­ne­ra­to guer­ri­glia ur­ba­na. Dal mo­men­to in cui il ge­ne­ra­le Vi­de­la di­ven­ta dit­ta­to­re, nu­me­ro­si dis­si­den­ti ven­go­no tor­tu­ra­ti e uc­ci­si; al­cu­ni di loro si ri­fu­gia­no in Cile.

La co­rag­gio­sa scel­ta di Cri­sti­na e Ho­ra­cio di con­ti­nua­re a lot­ta­re per una pa­tria li­be­ra e de­mo­cra­ti­ca co­strin­ge Juan e la so­rel­li­na di ap­pe­na un anno a vi­ve­re un’in­fan­zia clan­de­sti­na. Juan – in par­ti­co­la­re – cam­bia iden­ti­tà: oltre ad avere un altro nome, Er­ne­stoJuancam­bia città, scuo­la e data di na­sci­ta. Il bam­bi­no rie­sce ad adat­tar­si alla nuova vita, ma i con­ti­nui pro­get­ti po­li­ti­ci dei ge­ni­to­ri ren­do­no in­cer­ta anche la nuova si­tua­zio­ne. Il bam­bi­no vive così in un clima di vio­len­za e ten­sio­ne, che per lui di­ven­ta­no ben pre­sto nor­ma­li­tà. Il re­gi­sta rac­con­ta con de­li­ca­tez­za la sto­ria di Juan, che rie­sce a tro­va­re una ra­gio­ne di vita in Maria, una com­pa­gna di scuo­la di cui si in­na­mo­ra. Il bam­bi­no vive le stes­se emo­zio­ni dei suoi coe­ta­nei, ma le sue con­di­zio­ni di vita lo ren­do­no spe­cia­le, come lui stes­so am­met­te l’ul­ti­mo gior­no tra­scor­so con la bam­bi­na. La clan­de­sti­ni­tà è una con­di­zio­ne dif­fi­ci­le per Juan, che sol­tan­to nella casa dello zio Beto può es­se­re se stes­so. La se­con­da iden­ti­tà crea­ta per lui dai suoi ge­ni­to­ri lo sdop­pia e lo con­fon­de a tal punto da pro­por­re a Maria di fug­gi­re con lui in Bra­si­le, per poter fi­nal­men­te rag­giun­ge­re una sta­tus so­cia­le nor­ma­le. Le re­la­zio­ni tra i per­so­nag­gi sono ben co­strui­te: le liti, le scene d’af­fet­to, le di­ver­se rea­zio­ni sono rea­li­sti­che e aiu­ta­no a com­pren­de­re me­glio i per­so­nag­gi. L’in­ten­sa lite tra Cri­sti­na e sua madre circa il pe­ri­co­lo che l’in­te­ra fa­mi­glia sta cor­ren­do sem­bra uno spac­ca­to di real­tà: l’an­zia­na, pre­oc­cu­pa­ta per la sorte dei ni­po­ti, la prega di la­sciar­le la cu­sto­dia dei ni­po­ti, men­tre la fi­glia la in­sul­ta pe­san­te­men­te per la sua co­dar­dia. C’è molta poe­sia die­tro alle in­qua­dra­tu­re di Avila, in­gen­ti­li­te dalla fo­to­gra­fia di Ivan Gie­ra­sin­chuk. Le scene di vio­len­za sono so­sti­tui­te da se­quen­ze di di­se­gni: i pe­stag­gi degli at­ti­vi­sti da parte delle forze ar­ma­te sono la­scia­te al­l’im­ma­gi­na­zio­ne dello spet­ta­to­re. Un film ricco di sen­ti­men­to, che ha già ri­ce­vu­to nu­me­ro­si ri­co­no­sci­men­ti in di­ver­si fe­sti­val ci­ne­ma­to­gra­fi­ci e spe­ria­mo ot­ten­ga un pre­mio anche alla Quin­zen­ne de Rea­li­za­teurs a Can­nes.

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