“Un desaparecidos è una persona che non si può definire né viva, né morta. E’ senza identità.”

Nel chiostro di San Francesco si è parlato di Argentina, il Paese di Papa Francesco. Degli orrori della dittatura militare che portò al massacro di almeno 36mila persone

“Un desaparecidos è una persona che non si può definire né viva, né morta. E’ senza identità”. Il sociologo e scrittore Nicola Viceconti ha ricordato, nel chiostro di San Francesco del capoluogo sannita, le parole del generale argentino Videla sulla vicenda degli orrori perpetrati dalla dittatura militare nel paese sudamericano tra il 1976 ed il 1983 ai danni degli oppositori politici e che portarono al massacro di almeno 36mila persone nonché altre nefandezze come la sottrazione dei bambini piccoli ai legittimi genitori di sinistra. Quella terribile pagina della storia sudamericana è stata, dunque, ricordata a Benevento con un convegno voluto dall’Associzione Culturale Bentango e patrocinato dall’Ambasciata Argentina in Italia e dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Benevento. Un paese in primo piano dopo l’elezione di Papa Francesco. Con questa iniziativa, si è voluto ridare voce alla memoria, alla verità ed alla giustizia.
Può sembrare una tragedia lontana nel tempo e nello spazio, ma in realtà non è così, innanzitutto perché molti dei “desaparecidos” erano di origine italiana (il 43% del popolo argentino è composto da figli di emigranti) e qualcuno era italiano a tutti gli effetti; poi perché l’attacco alla libertà ed alla democrazia ovunque sia condotto è un crimine contro l’umanità ed infine proprio il 24 marzo ricorre l’anniversario di una tragedia tutta italiana, l’eccidio delle Fosse Ardeatine, che fu commesso dai nazisti ai danni di prigionieri italiani, tra i quali un sottufficiale dei Carabinieri sannita.

Il sociologo Viceconti ha, quindi, ricordato come il presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, accolse le mamme di Plaza de Mayo, cioè quelle donne che reclamavano giustizia per i loro figli o almeno chiedevano notizie sulla sorte di quelle persone scomparse senza lasciare traccia dopo la visita della polizia politica o dei militari scomparsi. Sulla base di questi fatti dunque, secondo i promotori, era giusto dedicare una giornata per commemorare anche in Italia i desaparecidos e cioè per non cancellare la memoria di tanto dolore e tanta sofferenza. E’ difficile se non impossibile metabolizzare il dolore della perdita di un figlio o di una figlia; così come non è possibile cancellare il tormento di un ragazzo che scopre improvvisamente che quelli che aveva creduto essere i propri genitori erano in realtà gli aguzzini dei loro naturali, che magari erano stati lanciati vivi da un aereo sull’Oceano Atlantico. La memoria, ha detto Nicola Viceconti, è una grande cornice per la collettività nel quale la stessa può ritrovare valori civili e democratici: “La parola desaparesidos significa scomparso.  Fu annullata in quel tempo in Argentina un’intera generazione, composta da operai e studenti. Fu una sparizione sistematica e pianificata di persone. Una scomparsa, una cancellazione d’identità”.
Viceconti ha ricordato come le persone venivano incappucciate e denudate e quindi torturate: “I militari non usavano fucili per finire le loro vittime che venivano buttate a mare dagli aerei ancora vive”. Poi il sociologo ha raccontato che in queste tragiche esperienze di vita dittatoriale erano coinvolte anche giovani donne incinte, tutte di sinistra: “Erano considerate un bottino da guerra.  In quel periodo, nacquero circa 500 bambini che furono strappati alle madri e vennero poi fatti crescere generalmente in famiglie di militari che non potevano avere figli naturali in quelle situazioni”. Ha ricordato il coraggio di quelle donne sopravvissute alla dittatura che hanno voluto ritrovare i propri piccoli o nipoti e per loro fortunatamente molte strade si sono aperte grazie alla straordinaria scoperta scientifica del Dna per risalire alla vera paternità.
E’ stato poi sottolineato che quell’orrore sudamericano è stato sublimato anche con il tango, riconosciuto nel 2009 come patrimonio culturale dell’Unesco, perché si tratta di un’esperienza artistica e musicale capace di unire le genti con il dialogo e rappresentare quindi l’essenza di una comunità. Il tango, infatti, nacque dall’incontro di culture diverse ed è basato sull’improvvisazione, caratterizzato da eleganza e passionalità.
All’epoca esso era osteggiato dalla dittatura militare argentina durante il periodo più buio della storia dello Stato sudamericano. Mercedes Quilici e Rogelio Bravo, maestri di Tango, si sono resi protagonisti di una esibizione: lo stesso sociologo ha però ricordato come fu un arma sociale, che nacque nei quartieri periferici de Buenos Aires come una richiesta di soddisfare i bisogni della gente.

Fonte: gazzettabenevento.it

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