L’Argentina del tango e della memoria.

Il paradiso degli Orchi – Rivista di letteratura contemporanea – Articolo di Giovanna Repetto.

Mi sono trovata sere fa alla presentazione di un libro a Pagine e Caffè, un caffè letterario che è un piccolo cuore pulsante nel quartiere di San Giovanni a Roma. Sembrava di entrare in un altro mondo. Perché il libro presentato non è semplicemente un romanzo, per quanto abbia vinto il primo premio di narrativa “InediTO”  2012, ma è l’ennesimo tassello di un appassionato lavoro di ricostruzione della tragedia argentina ai tempi di Videla, da parte di Nicola Viceconti. Lo scrittore romano sembra aver fatto dell’Argentina la sua patria adottiva nel bene e nel male, con la passione per il tango e con l’attenzione ai lati più oscuri della sua storia. Gli stessi attivisti delle associazioni nate a favore delle vittime della repressione si meravigliano del fatto che uno straniero, in nessun modo legato personalmente a quegli eventi, dedichi tanto suo lavoro a mantenerne viva la memoria.

L’altra sera presenze diverse testimoniavano le diverse anime dell’Argentina. Quella romantica e passionale della musica si manifestava nella voce di Ana Karina Rossi, sensibilissima interprete uruguayana che avevo già potuto apprezzare nello spettacolo Milonga Merini. L’aspetto oscuro, quello che ha lasciato tracce dolorose nella storia del popolo argentino, era testimoniato da Manuel e Macarena, due persone che hanno  vissuto in prima persona la tragedia delle famiglie mutilate e disperse dal regime. Sono due  “hijos”, quei figli dei “desaparecidos” uccisi che venivano adottati più o meno illegalmente dalle famiglie degli stessi persecutori. Manuel ha parlato del diritto a conoscere la verità, a recuperare l’identità rubata. Immagino che la conquista della verità gli abbia causato molta sofferenza, eppure ora gli ridono gli occhi. Forse perché adesso è lui a impegnarsi in prima persona nell’associazione che fu fondata dalle nonne dei bambini scomparsi, che sono poi quelle stesse mamme di Plaza de Mayo che non si arresero mai e non si arrendono ancora. Gli ho domandato che cosa accada, dopo una scoperta così drammatica, nei rapporti con la famiglia adottiva. Ha risposto con il pudore dei sentimenti, lasciando intendere che ci sono modi strettamente individuali di affrontare nell’intimo un passaggio così delicato. Alcuni ne escono rompendo il legame con la famiglia affidataria, altri, come lui, mantengono dei rapporti. Ma non ha dubbi sul fatto che sia sempre un bene  conoscere la propria vera identità.
Viceconti aveva trattato questo aspetto in un suo romanzo precedente, ‘Due volte ombra’ (Gingko, 2011), ottenendo l’apprezzamento di Estela Carlotto, presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo. Ora chiude la trilogia argentina, iniziata con Cumparsita, presentando Nora López. Questa volta ha scelto di compiere un’operazione difficile, affidando la voce narrante a un personaggio scomodo: un ex militare torturatore che, rintracciato dalla figlia di una vittima, si trova a fare i conti con il suo passato. Egli racconta le atrocità lucidamente e senza ombra di pentimento, proprio come i veri protagonisti del golpe che anche sul banco degli imputati si proclamano salvatori della patria. La storia si arricchisce con i risvolti di un giallo, perché porta a ricostruire le circostanze di un omicidio commesso ai giorni nostri e apparentemente privo di movente. Ma i collegamenti con i fatti del 1976 sono subito chiari. Tant’è vero che il libro porta la prefazione di Francesco Caporale, magistrato che si è occupato direttamente di tre processi sui desaparecidos celebrati in Italia. E il ringraziamento di León Gieco, musicista argentino. E una post-fazione di Juan José “Chiche” Kratzer, che fu presente nel paese come sacerdote dei Piccoli Fratelli del Vangelo, una congregazione vicina ai poveri e perciò perseguitata dal regime. E una nota di Osvaldo La Valle, ex detenuto del famigerato Club Atlético. Dunque un incontro di voci unite da un intento comune. Chi con il canto, chi con la testimonianza, chi con la scrittura, per rinnovare quel grido così utopistico e così perentorio: Nunca mas!

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